mercoledì 27 maggio 2009

I tre morti alla Saras di Sarroch
e un video di testimonianza

Il bagno nessun turista si sogna di farlo a Sarroch, si va nelle vicine Pula e Domus de Maria. Sarroch ha un nuraghe Sa domu 'e s' Orcu e le Tombe dei Giganti e si trova presso la costa occidentale del Golfo degli Angeli. Non ci saranno seppelliti 3 morti sul lavoro in quella tomba, non erano dei giganti dell'economia produttiva, nè tantomeno degli angeli.

Un minuto di silenzio da Fini per 3 operai morti, otto ore di sciopero per i colleghi che pagheranno di tasca loro proposti dai sindacati, cordoglio e indagini avviate da tutte le Istituzioni.

Sono morti Bruno Muntoni, 58 anni, Daniele Melis e Pierluigi Solinas, entrambi 30enni, tutti di Villa San Pietro, della ditta "Comesa srl" morti nel primo pomeriggio del 26 maggio 2009, nell'impianto MHC1 dello stabilimento della Saras di Sarroch. Un quarto operaio della stessa ditta, all'esterno del serbatoio con funzioni di vigilanza, è stato anche lui colpito dalle esalazioni e ha perso i sensi.

L'origine del nome Sarroch, il luogo dell'accaduto, è misteriosa. Forse deriva dal fenicio "Sharak", grappolo d'uva, o forse dal catalano antico "S'arroch" per l'enorme roccia che domina il paese. Rimarranno" misteriose" queste morti, come quelle a Pietradefusi in Campania dove un operaio è caduto dall'altezza di 10 metri mentre riparava il solaio di un capannone industriale e in Puglia, ad Andria dove un altro uomo è morto dopo essere stato colpito e trascinato da un nastro trasportatore in un cantiere del cugino e non perché investito mentre era in bicicletta.

Da diverse settimane possiamo sapere che erano in corso una serie di interventi di manutenzione programmata sugli impianti. Possiamo sapere che La Saras ha una Sicurezza Globale. La Saras ha un'operatività attenta all'Ambiente. La Saras ha un sistema completo e complesso di produzione e anche che lo stabilimento della Saras è stata fondato da Angelo Moratti nel 1962 e ha dato ricchezza alla Sardegna, in luoghi dove si viveva "miseramente" con l'agricoltura e la pastorizia.

Altro che Crisi, in Italia c'è" bassa produttività". La parola al ministro Brunetta: "Per rompere questa malattia mortale, la nostra economia deve fare più privatizzazione e liberalizzazione, e più semplificazione da parte della burocrazia". La malattia mortale ha colpito ancora, non è febbre suina, niente di virale. "Nucleare, fonti rinnovabili e gas. Ma soprattutto il petrolio. Questi i temi affrontati durante il G8 dell'energia, la tre giorni che ha visto riuniti a Roma 23 ministri di altrettanti Paesi, in rappresentanza dell'80% della domanda e dell'offerta di energia globale".

Nessuna paura. Loro stanno lavorando per noi, sono attenti all'ambiente perchè il futuro è di tutti, come la morte per alcuni, anzitempo: un rischio da correre. Sotto accusa rimane il nostro silenzio, e non di un minuto, per la vita.

testo di Doriana Goracci

Io vi invito alla breve visione di Oil di Massimiliano Mazzotta

martedì 26 maggio 2009

Zanon, l'espropriazione è una realtà
dopo 8 anni di dura lotta
la fabbrica è dei lavoratori


Giovedì 21 maggio, dopo 8 anni di lotta, gli operai della fabbrica Zanon hanno ottenuto che il governo della provincia di Neuquén presentasse formalmente il progetto di espropriazione della Zanon alla legislatura provinciale.

Per l'occasione gli operai sono stati accompagnati da rappresentati di diverse organizzazioni, tra cui le Madri di Plaza de Mayo dell'Alto Valle, che hanno sempre appoggiato la loro lotta. Fin dalla fine del 2001, quando l'industriale di origine veneta Luigi Zanon decise di chiudere la fabbrica, lasciando senza lavoro più di 300 operai. Fin da quando, nel marzo 2002, gran parte di quei lavoratori rientrò in fabbrica, occupandola, e dando il via all'autogestione.

"Anche se questa espropriazione non è quella che abbiamo pianificato dall'inizio - spiegano gli operai - è un passo importante, dato che ci viene concessa la gestione definitiva della fabbrica attraverso la nostra cooperativa Fasinpat (Fabrica sin Patrones, ossia Fabbrica senza padroni, ndr) e terminano così le continue minacce di sgombero".

Oggi, martedì 26 maggio, il progetto di legge assumerà carattere parlamentare e domani si comincerà a lavorare nelle commissioni di bilancio e affari costituzionali.

"Questo fatto storico è stato frutto di una battaglia molto dura - continuano -. La lotta e la mobilitazione di questa gestione operaia insieme a lavoratori e lavoratrici del Paese, con l'appoggio della comunità e il riconoscimento internazionale, è riuscito a fare un passo in più. In mezzo a una crisi del capitalismo in cui gli imprenditori e i governi provano a scaricare le colpe contro i lavoratori del mondo, la Zanon sotto controllo operaio è un chiaro esempio di come noi lavoratori possiamo trovare un'uscita operaia dalla crisi. Oggi più che mai la Zanon è del popolo!"

giovedì 21 maggio 2009

E' partita la campagna
contro i cacciabombardieri


E' partita la campagna promossa dalla Rete Italiana per il Disarmo e dalla campagna Sbilanciamoci! per lo stop della partecipazione italiana alla produzione di 131 caccia bombardieri F-35 che ci costeranno ben 15 miliardi di euro.

I due portavoce della campagna Massimo Paolicelli della Rete Italiana per il Disarmo e Giulio Marcon della campagna Sbilanciamoci! hanno presentato gli obiettivi e le iniziative della campagna, e illustrato i contenuti del programma di riarmo e delle decisioni del parlamento e del governo italiano.

La conferma che questo progetto, che vede il governo americano come ente promotore, è un salto nel buio è arrivata dal nuovo rapporto del marzo 2009 del GAO (Government Accountability Office) che è il corrispettivo della nostra Corte dei Conti. Il GAO è fortemente scettico sul progetto, criticando principalmente le pressioni esercitate dal dipartimento della difesa (Dod) e dalle imprese appaltatrici affinché la fase di sviluppo dell’aviogetto venga portata a conclusione prima che le più importanti tecnologie divengano mature, iniziando così i test costruttivi dell’aereo prima che i progetti divengano definitivi e iniziando la fase di produzione prima che i test in volo dimostrino che l’aereo sia realmente pronto, con il forte rischio di scoprire eventuali difetti a posteriori, quando correggerli sarà estremamente complicato e costoso. A conferma di ciò la decisione di anticipare l’acquisizione del 15% del totale dei velivoli, cioè 360 aerei, testando solo il 17% delle capacità dell’F-35 in volo, per lasciare tutto il resto alle simulazioni di laboratorio.

da Sbilanciamoci

domenica 10 maggio 2009

Sicurezza sul lavoro e lotta di classe

A volte è colpa di un volantino. Altre volte di una manifestazione. Spesso di una denuncia sulle falle di sicurezza, soprattutto dove queste falle devono rimanere nascoste. Il licenziamento, o almeno la sua minaccia, è uno strumento subdolo che talvolta le dirigenze aziendali utilizzano per tacere le voci di chi osa denunciare situazioni di insicurezza sul luogo di lavoro. Tanti i casi italiani negli ultimi anni. Il più noto è forse quello del macchinista Dante De Angelis, Rls di Trenitalia, licenziato nell’agosto scorso per aver segnalato la carenza di manutenzione degli Eurostar.

È anche per dimostrare il proprio sostegno a coloro che con coraggio denunciano le condizioni pericolose in cui versano le aziende, che la Rete Nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro ha manifestato sabato 18 aprile a Taranto, la città dell’Ilva, la fabbrica italiana dove maggiore è il numero di morti sul lavoro.
Tra le vie di Taranto c’era ad esempio Salvatore Palumbo, ex delegato sindacale ed operaio alla Fincantieri di Palermo. Da quasi due anni sta portando avanti una battaglia legale per il reintegro, dopo esser stato licenziato perché, sostiene l’azienda, colto a pescare nel bacino in orario di lavoro, ma già da tempo preso di mira per le sue numerose segnalazioni. Palumbo ha già affrontato quattro tentativi di ricorso ex articolo 700 per ottenere la riassunzione in fabbrica, senza successo, e ora è impegnato in una causa civile. Una prima udienza nel gennaio scorso, quindi la seconda il 5 febbraio: “In quell’occasione mi hanno proposto una transazione di 40mila euro, che sarebbe potuta anche salire, ma io ho rifiutato – spiega –. Tra l’altro pochi giorni prima alcuni lavoratori della Fincantieri mi hanno segnalato che un operaio aveva subito un incidente. Io ho parlato di quell’episodio in un volantino, che il giorno dell’udienza l’avvocato dell’azienda ha portato davanti al giudice, dicendo: ‘Signor Palumbo, è così che vuole risolvere i suoi problemi?’. Io continuo semplicemente a fare il mio lavoro. Non si immagina quanti infortuni o piccoli incidenti vengano tenuti nascosti”. L’udienza è stata rinviata al 4 giugno, quando probabilmente l’avvocato di Palumbo, Nadia Spallitta, porterà davanti al giudice nuovi testimoni. La vicenda di Palumbo e della sua famiglia (moglie e tre figli) è una di quelle storie capaci di annientare una persona, oppure di risvegliare nella coscienza l’istinto per andare avanti. “Quello che non ho mai voluto perdere – conclude l’operaio – è la mia dignità di lavoratore. Per questo continuerò la mia battaglia. Non chiedo nient’altro che tornare ad avere il mio posto di lavoro”.

Difficile, ma non impossibile. Almeno così è stato per Donato Auria, operaio alla Fiat Sata di Melfi, licenziato nell’ottobre 2007 assieme a tre colleghi, Francesco Ferrentino, Michele Passannante e Vincenzo Miranda, accusati di essere dei “sovversivi”. “Dovevo fare il secondo turno ed ero ancora a letto – spiega Auria nel blog che ha creato per condurre la battaglia per il reintegro – alle 6 del mattino qualcuno bussa alla porta, è la Digos, c’è un mandato di perquisizione”. Controllano, frugano, leggono, guardano dappertutto, ma non trovano nulla, forse anche loro capiscono con chi hanno a che fare. “Un attivista sindacale che ha fatto tante denunce, con tre figli e moglie a carico, che sta in una casa di 60 metri quadrati, dove non c’è spazio neanche per i letti singoli. Qualche figlio si deve arrangiare con il letto a castello”. Passa poco tempo e arriva la lettera di sospensione dalla Fiat. Poi la notifica della Dda di Potenza in cui risulta che Auria è indagato per associazione sovversiva a fini terroristici. Licenziato. L’operaio però non si arrende e, dopo una lunga battaglia, a gennaio di quest’anno ottiene il reintegro.
Niente da fare invece per i colleghi per cui, come ad Auria, è stata decisa l’archiviazione nell’indagine su eversione e terrorismo.

A loro si unisce anche Tonino Innocenti, licenziato dalla Fiat Sata addirittura nel 2003. Il provvedimento nei confronti di Francesco Ferrentino, Rsu della FlmUniti-Cub, viene dichiarato illegittimo, ma il 19 dicembre scatta a suo danno un nuovo licenziamento per via di un volantino che, secondo l’azienda, contiene dichiarazioni diffamatorie nei confronti di un capo. Michele Passannante, dopo aver perso il ricorso ex articolo 700, è in attesa della causa di merito. Vincenzo Miranda, invece, quel ricorso lo vince, ma l’azienda terziarizzata Fiat di cui è dipendente lo trasferisce in Toscana.

A questi si aggiungono anche i licenziamenti di operai che, come Giovanni Chiarello ed Eugenio Scognamiglio dipendenti Maserati, si battono ogni giorno per la difesa del posto di lavoro. Nel loro caso l’impegno era stato a favore del rinnovo contrattuale di 112 interinali dell’azienda modenese. E poi la storia di Giolivo Zanotti, operaio delle Fonderie Officine Pilenga, di Comun Nuovo (Bergamo), che lo scorso anno ha subito una sospensione di tre giorni per aver denunciato le condizioni di insicurezza nella fonderia dove lavorano 250 operai.

“Per fortuna – spiega Ernesto Palatrasio, dello Slai Cobas di Taranto, uno degli organizzatori della manifestazione del 18 aprile – i licenziamenti rimangono circoscritti. Quello che pesa veramente è la minaccia di lasciare la gente senza lavoro, un’arma per far sì che in fabbrica si taccia. A questa si aggiungono forme di persecuzione silenziosa, ostruzionismo sul luogo di lavoro, situazioni di cui spesso non si viene a sapere nulla. Il vero problema è la poca forza che la figura dell’Rls ha all’interno delle fabbriche. All’Ilva di Taranto, ad esempio, dove lavorano 13 mila persone, gli Rls sono appena 6”.

E allora bisogna almeno tirare un sospiro di sollievo per aver scampato a febbraio gli emendamenti proposti dalla Lega al Testo Unico varato dall’ultimo governo Prodi. Misure che se approvate avrebbero privato i lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti della possibilità di eleggere un Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza, ma anche di essere rappresentati da Rls territoriali. Dopo una prima accettazione, gli emendamenti sono stati respinti. Ancora per un po’ si può provare a sperare.


Ilaria Leccardi da Cenerentola

lunedì 4 maggio 2009

I sette operai della Thyssen-Krupp
uccisi di nuovo dai giornalisti italiani

Mi chiamo Massimo Zucchetti e sono il più giovane professore universitario italiano di Sicurezza e Analisi del Rischio. Lavoro al Politecnico di Torino. Sono Consulente Tecnico nel Processo Thyssen-Krupp dove nel dicembre 2007 morirono bruciati fra sofferenze atroci sette operai.

In data 28 aprile 2009 ho depositato al Processo la mia Relazione di 60 pagine, che ricostruisce l’evento, identifica le cause, indica i colpevoli delle sette atroci morti. Ho inviato lo stesso giorno il sunto della mia relazione, una pagina e mezzo chiara e pesante come il piombo, ai seguenti quotidiani italiani: Repubblica, La Stampa, Il Giorno, Il Messaggero, Il Mattino, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Secolo XIX, Il Giornale, Leggo, Metro, Corriere della Sera, Il Tempo, L’Unità, Il Manifesto, L’Indipendente. Anche altri che ora non ricordo, ma questi i principali.

Il sunto è scritto in linguaggio non tecnico ed è chiaro e duro come il cristallo. Nessuno di questi giornali ha reagito in alcun modo al mio invio. Soltanto il Manifesto, grazie alla presenza di un giornalista mio amico personale, ha promesso di pubblicare un articolo. Pubblico qui su Metropolis – oltre che sulla mia pagina di Facebook - il testo che avrebbe dovuto apparire, secondo il mio parere, su ognuno di questi giornali in giusta evidenza.

Ieri sera ho parlato con gli operai Thyssen ed ho cercato di spiegare loro la situazione: la situazione è che il giornalismo in Italia è ostaggio – salvo rare eccezioni – di una conventicola di servi, mestieranti ed autocompiaciuti, ignoranti ed inutili se non dannosi, indegni comunque di esercitare una professione tanto importante come quella di giornalista.

In seguito all’incendio divampato il 6/12/2007, sulla linea di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino (d’ora in avanti TKTO), che, inizialmente, causò la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che decedettero nei giorni seguenti, il sottoscritto prof.ing. Massimo Zucchetti, ordinario di Sicurezza e Analisi di Rischio presso il Politecnico di Torino, è stato nominato Consulente Tecnico di Parte Civile nel Procedimento Penale in corso. La presente relazione costituisce un iniziale contributo all’analisi.

Da quanto riportato dai fatti e dalle testimonianze si può riassumere quanto segue: La linea 5 funzionava in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio - in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi, eccetera. La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.

La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico. I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato nel recente passato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio come quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro breve.

La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa. Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.

Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure. In caso di incendio di “grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento. Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme.

Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e non in ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate ai lavoratori. Il pulsante di emergenza non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica, quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti, fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione, non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.

I sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili. Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità. Si erano verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a seguito di questi incidenti sulla linea 5. Alcuni sistemi di sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria (costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza. Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi.

In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione con ogni norma di sicurezza. Tutto quanto era umanamente possibile per rendere provabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia. Una volta partito, la dinamica dell’evento incidentale è stata inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai a quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.

Massimo Zucchetti
da Metropolis

Chiedono permesso per il lutto nazionale
Licenziati 120 lavoratori a Canistro

Hanno chiesto al datore di lavoro di fermare per un’ora la produzione in occasione dei funerali di Stato e del lutto nazionale per le vittime del terremoto in Abruzzo e per questo sono stati licenziati. È successo ai 120 lavoratori della Santa Croce di Canistro, azienda delle acque che ha sede a pochi chilometri di distanza dall’epicentro del terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo lo scorso 6 aprile.

A darne notizia è la Flai Cgil: “La loro richiesta dettata dal buonsenso e dalla volontà di aderire al lutto che li aveva coinvolti così da vicino – spiega la sigla di categoria – ha scatenato le ire del datore di lavoro, che non ha dato il suo permesso alla fermata delle produzioni. I lavoratori hanno deciso allora di abbandonare la fabbrica e di rendere ugualmente omaggio alle vittime del terremoto. A pochi giorni di distanza, però, il datore di lavoro ha fatto pervenire loro tramite un telegramma la notifica di licenziamento. Non pago ha poi sporto denuncia nei confronti del segretario generale della Flai Cgil dell’Aquila, Luigi Fiammata, con l’accusa di associazione a delinquere.

“Non vi è mai fine all’orrore – ha dichiarato il segretario generale della Flai Cgil Stefania Crogi -, è un fatto di tale gravità, purtroppo, si commenta da solo. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai lavoratori licenziati e a Luigi Fiammata, garantendo loro il sostegno legale necessario alla soluzione di questa triste vicenda. Invitiamo inoltre tutte le istituzioni nazionali e abruzzesi – ha concluso Crogi – ad adoperarsi contro un datore di lavoro che anziché puntare alla ricostruzione del tessuto sociale ed economico di un territorio messo così a dura prova dal terremoto ha pensato fosse lecito licenziare chi aveva semplicemente chiesto che fosse rispettato il lutto”.

da Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza