sabato 20 luglio 2013

Romana Blasotti Pavesi medaglia d’oro al merito della sanità pubblica per la lotta contro l'Eternit

"Presidente dell'Associazione Familiari Vittime dell'Amianto dal 1988, può essere definita il simbolo della lotta all'amianto per l'impegno, l'umanità, la passione e la forte determinazione con cui si batte perché tutte le vittime della fibra killer del mesotelioma possano avere giustizia. La straordinaria volontà dimostrata in tutti questi anni ne ha fatto un punto di riferimento nazionale. Sotto la sua guida l'Associazione Afeva ha assunto un ruolo di rilievo sia in Italia sia all'estero nella battaglia contro l’amianto".

Queste le motivazioni con cui Romana Blasotti Pavesi, per molti semplicemente Romana, è stata insignita della medaglia d'oro al merito della sanità pubblica. Un riconoscimento importante, che sigilla ancor di più una battaglia ben nota che questa grande donna conduce da decenni. Ad accompagnarla a Roma in occasione della consegna, avvenuta venerdì 19 luglio, oltre al figlio Ottavio, gli amici casalesi e romani di Voci della Memoria.

Grazie Romana!

martedì 4 giugno 2013

Eternit, la strage continua: processo Torino esempio per mondo

Torino 4 giu. (LaPresse) - Quella dell'amianto è una strage silenziosa. Una strage che ha trovato voce nella lotta e nella costanza delle famiglie e degli ex operai della fabbrica della morte, quella Eternit che a Casale Monferrato sorgeva a pochi passi dal Po. Ma il disastro è tutt'altro che solo italiano, planetario si può dire. La penisola, per una volta, vanta il primato di essere avanti rispetto al resto del mondo in quanto a procedimenti giudiziari. Ci sono Paesi che lottano per riuscire a portare in tribunale i responsabili della strage, altri che si battono per far sì che l'amianto non venga più lavorato, ben consapevoli della sua pericolosità. Altri ancora che muovono i primi passi anche solo per sensibilizzare gli operai e la cittadinanza, luoghi dove si fa fatica a mangiare e una copertura in Eternit può diventare salvezza in un giorno di pioggia. In India l'amianto si lavora senza clamori, in America latina è vietato solo in Argentina, Uruguay, Cile, Honduras e alcuni Stati del Brasile. Si estrae ancora in grandissime quantità, e non senza danni, in Russia e Canada.

A testimoniare l'importanza globale del processo che si è tenuto ieri a Torino c'erano delegazioni da tutta Europa, ma anche avvocati e giornalisti, che hanno seguito da vicino lo svolgersi del processo.

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lunedì 3 giugno 2013

Eternit, 18 anni di carcere a magnate Schmidheiny per strage amianto. Maxirisarcimento a Casale

Torino, 3 giu. (LaPresse) - "Questa sentenza è un inno alla vita, è un sogno che si avvera. Spero che serva a tutelare la vita e la salute, sia nei luoghi di lavoro che fuori". Così, soddisfatto, il sostituto procuratore di Torino Raffaele Guariniello ha commentato a caldo la sentenza di secondo grado del processo Eternit, che ha visto riconoscere oggi 18 anni di carcere all'imputato, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, l'unico rimasto dopo la morte poche settimane fa a 92 anni del barone belga Louis De Cartier De Marchienne. In primo grado i due erano stati condannati alla pena di 16 anni di reclusione.

SENTENZA RIFORMATA. Grande la soddisfazione dei familiari delle vittime, nonostante le differenze tra la sentenza di primo e secondo grado, non tutte positive dal punto di vista delle parti lese. Cresce la pena carceraria di due anni, poiché il reato di disastro doloso permanente viene riconosciuto anche per i siti di Rubiera e Bagnoli, oltre che Casale Monferrato e Cavagnolo. Ma diminuisce il numero delle parti civili risarcite. Inoltre, la sentenza non riconosce infatti il reato di omissione dolosa di misure di sicurezza all'interno degli stabilimenti. Per quanto riguarda De Cartier, il giudice Alberto Oggè ha dichiarato il "non doversi procedere", vista la morte, e in ogni caso, secondo la Corte, il barone non avrebbe commesso il fatto prima del 1966.

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sabato 25 maggio 2013

Genova saluta don Gallo con 'Bella ciao' e il pugno alzato

Essere andata oggi a Genova a salutare don Gallo è stato doloroso e al tempo stesso straordinario: Le parole di don Ciotti sono state come una spina nel cuore di una certa chiesa, nel corpo dolente di un paese che soffre, quelle di Moni Ovadia sono state le parole di un fratello, capace di raccontare la parte più grande di un uomo grandissimo. Genova, poi, rimane stupenda, una città diversa da tutte. E ogni volta tornare, per me, da quel 2001, ha un significato più grande...

Genova, 25 mag. (LaPresse) - Genova si ferma per celebrare il prete degli ultimi: don Andrea Gallo. Scomparso mercoledì all'età di 84 anni, il fondatore della comunità di San Benedetto al Porto ha ricevuto oggi a Genova nella Chiesa del Carmine l'ultimo saluto. E così, don Gallo è stato riportato proprio nel luogo dove tutto era cominciato: la chiesa da cui fu allontanato negli anni '70 e da cui partì la sua avventura a San Benedetto. Ad accompagnarlo nell'ultimo viaggio, gli amici di tutta una vita: quegli 'ultimi' di cui si è sempre voluto occupare e a cui non ha mai chiuso le porte della sua chiesa. Fra rulli di tamburi, 'Bella ciao', pugni alzati e bandiere dell'Anpi (don Gallo da giovane è stato partigiano), della pace, di Emergency e No Tav, la commozione per le strade di Genova è stata tanta ma sembrava più una festa, un arrivederci, che non un funerale. Sulla bara di don Gallo, applaudita lungamente sia all'arrivo in chiesa, portata in spalle, sia all'uscita, erano posati la bandiera della pace e due suoi indumenti distintivi: il cappello nero e la sciarpa rossa, che indossava sempre. Ad accompagnare il feretro, l'urlo 'Resistenza'...

da LaPresse

mercoledì 10 aprile 2013

Livorno ricorda strage Moby Prince, dopo 22 anni nessuna verità

Livorno, 10 apr. (LaPresse) - Sono passati 22 anni, ma ancora non è stata trovata una verità processuale. Anche per questo, per rinnovare la memoria e per evitare che avvengano nuove stragi simili, oggi Livorno si è riunita attorno ai familiari delle vittime della tragedia della Moby Prince, il traghetto andato in fiamme nella notte del 10 aprile 1991, dopo essere entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, nella rada della città toscana. Dopo la funzione religiosa che si è tenuta questa mattina in duomo, centinaia di persone hanno sfilato per le vie di Livorno, fino al molo, dove sono stati letti i nomi delle 140 vittime della strage e sono state lanciate rose in mare, come avviene ogni anno, dal 1991.

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sabato 9 marzo 2013

Se siamo qui non è perché Hugo Chávez è morto, ma perché Hugo Chávez continua a vivere



Si è spento, con il suo fisico grande e forte, dopo una lunga malattia. Ma non è morto. Hugo Chávez, presidente del Venezuela dal 1999, sempre vincitore alle urne, mai sconfitto dagli avversari politici, in 14 anni ha rivoluzionato il suo Paese. Assistenza sanitaria ed istruzione gratuite, case, cibo, dignità. Sono state queste le sue battaglie, portate avanti grazie a un popolo che lo ha capito e un carisma difficile da eguagliare. Straordinario uomo, trascinatore, affascinante oratore. Hugo Chávez non ha fatto bene solo al popolo del Venezuela, ma ha guidato all'unione e verso un sogno di autonomia un intero continente. Ha saputo dire e convincere che era possibile staccarsi da un dominio (finanziario, economico, industriale) durato troppo a lungo. I popoli non solo lo ricorderanno così, ma avranno il grande compito di assumersi sulle proprie spalle un percorso che lui ha iniziato e portato avanti. Creando coscienza, forza, consapevolezza negli ultimi e nei dimenticati. E non lo dicono solo gli stessi ultimi. Ma anche i grandi del mondo che hanno capito la sua figura. Il segretario dell'Onu Ban Ki-moon, non certo un rivoluzionario, ha ricordato poche ore dopo la morte come Chávez abbia sempre "sostenuto le sfide e le aspirazioni dei venezuelani più vulnerabili", e "un decisivo impulso all'integrazione regionale, a partire da una visione prettamente latinoamericana, oltre a mostrare solidarietà con le altre nazioni dell'emisfero". Inoltre, ha voluto ricordare il "contributo di vitale importanza" che Chávez ha dato ai "colloqui di pace che si stanno tenendo tra il governo colombiano del presidente Juan Manuel Santos e le Farc". Colloqui che, molti lo dimenticano, trovano la loro culla a Cuba, dove da mesi le parti stanno provando a fare passi avanti.

Hugo Chávez è un uomo coraggioso e la sua vita non è terminata il 5 marzo 2013. Ma continua, così come la sua lotta, negli occhi e nelle voci di quei ragazzi e di quelle donne che grazie a lui hanno conosciuto un riscatto. Hugo Chávez ha forzato la storia, in un momento difficile, ed è riuscito a creare una breccia in muro che prima era troppo alto anche solo per guardare al di là. E lo straordinario momento che sta vivendo l'America Latina deve andare avanti. Tutti i leader di quest'area del mondo, compresi coloro che meno hanno avuto a che fare con il leader bolivariano, hanno riconosciuto la sua importanza. Chi lo ha chiamato "fratello", chi ha pianto lacrime senza fine, chi lo ha ricordato con rispetto e stima. Chi ha capito, forse anche grazie a quel fiume rosso che ha invaso le strade di Caracas per rendergli un tributo, quanto fosse importante per la sua gente. Ora il difficile compito spetta a chi dovrà prendere la sua eredità in mano e portarla avanti. Quel Nicolás Maduro, fedele delfino, scelto dallo stesso Chávez come suo successore. E con lui tutto il movimento politico, militare, popolare, che ha reso vivo il Venezuela. Le parole di Maduro, oggi, durante il funerale, sono state forti e commosse. Iniziando a prendere la forma di quelle di un leader. Per ora basta ricordare quelle del reverendo statunitense Jesse Jackson che, parlando davanti al feretro avvolto dalla bandiera del Venezuela, ha detto la più vera realtà: "Oggi siamo qui non perché Hugo Chávez è morto, ma perché Hugo Chávez è vivo".

Hasta siempre Comandante!