giovedì 18 dicembre 2008

Continua la battaglia di Salvatore Palumbo

A maggio era salito sulla stele che ricorda la strage di Capaci, lungo l'autostrada Palermo-Mazara del Vallo. Lunedì 15 dicembre ha montato una tenda davanti al tribunale di Palermo per urlare contro l'ingiustizia del suo licenziamento. Oggi Salvatore Palumbo ha scelto i binari della stazione per gridare ancora più forte. Si è incatenato, insieme con la moglie e i tre figli, chiedendo il reintegro a Fincantieri, l'azienda che nell'agosto 2007 lo aveva lasciato a casa, senza stipendio e con una famiglia da mantenere. Solo l'intervento delle forze dell'ordine, che hanno tranciato le catene, ha permesso di liberare i binari e far riprendere la normale circolazione dei mezzi.

Ma Palumbo non si arrenderà. Lotta contro quella che definisce un'ingiustizia, un licenziamento che Fincantieri giustifica dicendo di averlo sorpreso a pescare durante il turno di notte. Eppure già da tempo in azienda la sua posizione era diventata scomoda. Perché lui sul posto di lavoro aveva sempre avuto una sensibilità particolare per il tema della sicurezza, a tal punto da diventare "fastidioso". Ora da quasi un anno e mezzo lotta per la sua riassunzione, ma i suoi ricorsi sono stati finora respinti dal tribunale del lavoro. Adesso è Natale e non parliamo di regali, lui non sa dove trovare i soldi per dare da mangiare ai suoi figli. Lo scorso 6 dicembre era salito fino a Torino, in occasione della manifestazione a un anno dalla strage della Thyssen, per raccontare la sua storia. Ora spera che qualcuno sia disposto ad ascoltarla, lui di sicuro farà di tutto perché ciò avvenga.

martedì 9 dicembre 2008

Altre 5 vittime nella guerra del lavoro
La testimonianza da Dalmine

Una nuova strage, un nuovo nero bollettino di guerra. Nella giornata quasi conclusa sono 5 i morti sul lavoro in tutta Italia, dal Nord al Sud, senza distinzioni. Dalmine (Bergamo), Torretta di Galliavola (Pavia), Santa Giustina (Belluno), Amatrice (Rieti), San Pallegrino (Bergamo). Questi i luoghi dei decessi.

Riportiamo il comunicato diffuso dallo Slai Cobas sulla morte di Sergio Riva, 20 anni, alla Tenaris di Dalmine.

Un altro assassinio programmato e annunciato alla Tenaris Dalmine di Bergamo. Si tratta di un giovane operaio interinale di 20 anni da quasi 1 anno in fabbrica. E' successo alle 1.30 di questa notte nel reparto fas espander (tubi di grosso diamentro), quando una squadra ridotta di operai stava attrezzando una macchina dell'impianto che doveva iniziare a produrre alle 6 sul primo turno. Lo Slai Cobas Dalmine, dopo aver verificato la dinamica con gli operai del reparto, si riserva di presentare nei prossimi giorni un esposto alla procura Affinché si faccia luce sull'accaduto.
Ribadiamo con forza che quanto successo non è una fatalità, come sembra già circolare nelle note interne dell'azienda, ma il frutto della corsa alla produzione a tutti i costi. Produzione che è aumentata enormemente in questi anni, fino a raggiungere i record pubblicizzati dalla stessa Tenaris Dalmine.
I profitti top intascati da padron Rocca in questi anni non sono caduti dal cielo ma sono stati ottenuti spremendo al massimo gli impianti con recuperi produttivi, festività lavorate, flessibilità della turnistica, saturazione delle 8 ore di lavoro. Il tutto garantito dallo sfruttamento e dalla condizione di ricatto per gli operai nei reparti, in particolare per quelli precari, costretti a lavorare in qualsiasi condizione per sperare di essere confermati. Ad esempio, è norma che questi giovani operai facciano 48 ore alla settimana, in quanto i capi turno "chiedono" il salto del riposo settimanale previsto dal contratto.
Situazione ancora più accentuata in questo periodo in cui la Dalmine, utilizzando il tema della "crisi", ha annunciato che la maggioranza degli operai interinali non saranno confermati nei prossimi mesi. Questo ha scatenato una guerra tra "poveri" per l'accaparramento dei pochi posti di lavoro.
Slai Cobas Dalmine per il sindacato di classe. Coordinatore provincia di Bergamo, Sabastiano Lamera

sabato 6 dicembre 2008

A un anno dalla Thyssen
Contro tutte le stragi

Il freddo pungente, le Alpi innevate, il dolore e la voglia di continuare a lottare, hanno accompagnato questa mattina il corteo di 5mila persone che a Torino dai cancelli della Thyssen (corso Regina Margherita) è arrivato fino alle porte del Palazzo di Giustizia.

C'erano i familiari delle vittime della strage del 6 dicembre 2007 e i loro compagni di fabbrica. C'era la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro. C'era Francesca Caliolo, moglie di Antonio Mingolla, una delle troppe vittime dell'Ilva di Taranto, la fabbrica assassina. C'erano Dante De Angelis, ferroviere, e Salvatore Palumbo, operaio alla Fincantieri Palermo, entrambi licenziati per aver denunciato le condizioni di insicurezza nei rispettivi luoghi di lavoro. C'erano gli studenti, compagni di Vito Scafidi, morto nel crollo del soffitto della sua scuola di Rivoli mentre faceva lezione. C'era l'associazione dei parenti delle vittime dell'Eternit. E molti altri ancora.

Non certo il fiume che era visto un anno fa, subito dopo la strage, e che aveva invaso le vie del centro cittadino. Ma una solida base disposta a continuare la lotta per la dignità e la sicurezza, per il lavoro e la giustizia.