Per la seconda volta la Procura di Bassano del Grappa, per mano del PM Giovanni Parolin, ha chiesto l’Archiviazione del caso riguardante i decessi e le malattie degli operai della TRICOM-GALVANICA PM di Tezze sul Brenta (Vicenza).
“OPERAI”…: questa forse l’identificazione del ceto sociale che impedisce lo svolgimento di un regolare processo! Oltre 7000 pagine che raccontano le condizioni a dir poco insalubri nelle quali questi operai lavoravano tutti i giorni allo solo scopo di VIVERE DIGNITOSAMENTE e MANTENERE UNA FAMIGLIA! Quando mio padre si sposò nel 1976 lavorava anche mia madre. Poco più tardi, quando scoprirono che stavano per diventare genitori, mio padre chiese a mia madre di abbandonare il lavoro per occuparsi totalmente della casa e della prole, preferendo così caricarsi di straordinari aumentando alla Tricom le sue ore lavorative. E' forse questa la sua colpa che gli impedisce oggi di avere Giustizia?
7000 pagine che raccontano solo morte: nessun dispositivo di sicurezza, nessuna informazione sulla pericolosità di quanto facessero in quella fabbrica. Unico imperativo quello di lavorare e di farlo con il sorriso stampato in volto perché altrimenti Tu e la tua Famiglia non potrete avere un futuro!
Giustizia, da che parte stai?
Questa la domanda che personalmente in questo ultimo periodo sovrasta i miei pensieri. Leggo e rileggo i numerosi verbali di ispezione alla fabbrica, leggo e rileggo le numerose cartelle cliniche degli ex operai, i loro Libretti Sanitari riguardanti le visite mediche effettuate in fabbrica e mi accorgo che la Giustizia in questo paese non è “uguale per tutti”; con tali presupposti non è possibile IMPEDIRE, là dove la Legge si dice essere appunto “uguale per tutti”, un processo per OMICIDIO COLPOSO PLURIMO, LESIONI COLPOSE GRAVI E OMISSIONI DI DIFESE E CAUTELE CONTRO DISASTRI E INFORTUNI SUL LAVORO E VIOLAZIONI SULLE NORME DI SICUREZZA ED IGIENE NEGLI AMBIENTI DI LAVORO.
In quella fabbrica la mortalità dell’operaio stranamente era triplicata rispetto ad uno studio regionale che interessava un’indagine sulle condizioni di lavoro di addetti a reparti galvanici, mortalità quintuplicata invece su scala nazionale. Questo medesimo studio riporta il tasso significativo e pauroso di cromuria presente nell’operaio prima e dopo le otto ore di lavoro, ne rivela per alcuni il DNA MODIFICATO (ossia le aberrazioni cromosomiche), ecc. Ispezioni da parte dello SPISAL di Bassano del Grappa attestano che la fabbrica è priva di ogni sistema di prevenzione e tutela per l’operaio, condizioni che perdurarono per tutta l’esistenza di tale attività, dal 1975 al 2003. L’istituto della IARC trema al solo sentire nominare sostanze quali il cromo, il nichel, cianuri di varia natura(sostanze tutte altamente cancerogene per l’uomo ma probabilmente secondo la Procura di Bassano del Grappa non per l’operaio). Istituto quello della IARC che da anni studia i problemi correlati all’uso da parte dell’uomo di sostanze pericolose, istituto riconosciuto a livello mondiale. Anni di indagini condotte dal Corpo Forestale dello Stato che ha interrogato tutti gli ex operai e per quelli che non ci sono più i loro famigliari, tutti concordi nel testimoniare che in quella fabbrica ci si ammalava, svelando molti particolari inquietanti. L’ARPAV di Bassano del Grappa, chiamata ad ispezionare l’azienda per accertare la possibilità che quest’ultima sia la causa di un inquinamento alle falde acquifere da cromo esavalente (cromo VI), non può non constatare nei suoi verbali le condizioni disumane nelle quali versavano gli operai.
Beh, secondo la Giustizia amministrata coscientemente a Bassano del Grappa NESSUNO di questi dati significa qualcosa, la Giustizia amministrata coscientemente a Bassano del Grappa di tutti questi studi ne fa una enorme palla di carta da cestinare. Giustizia…da che parte stai?
All’inizio del procedimento l’unico caso segnalato era quello di mio padre, per il quale io stesso, all’indomani della sua morte, ho fatto denuncia, correva l’anno 2001; la prima perizia medica redatta per conto del Tribunale di Bassano del Grappa riporta la non esclusione di un nesso causale malattia-lavoro ma sottolinea però come sia difficile giungere a tale conclusione visto che vi era in quella fabbrica un solo caso denunciato. Ad oggi parliamo di 10 morti per le medesime patologie e di altri 7 casi di ex operai al momento ammalati, tutti con patologie tumorali. ALLORA? Se prima vi era un solo caso, troppo poco, probabilmente ora sono troppi. MEGLIO ARCHIVIARE!!! Giustizia…da che parte stai?
Una più recente perizia medica redatta sempre per conto del Tribunale di Bassano del Grappa ha forse trovato invece un escamotage per poter dire “quel processo non s’ha da fare”: un illustre rappresentante della Medicina del Lavoro di Padova liquida 7000 pagine di studi e di elencazioni negative dell’azienda incriminata con un semplice “tenuto conto di tutto questo” e punta il dito unicamente contro gli operai…sì, perché fumavano! A Porto Marghera gli operai bevevano, alla Tricom di Tezze sul Brenta gli operai fumavano. Il nesso causale malattia-lavoro “tenuto conto di tutto questo” (7000 pagine che raccontano le precarie condizioni di lavoro senza nessun tipo di tutela per gli operai), è il frutto unico del rapporto tra l’età dell’operaio per la quantità di sigarette fumate in vita. BALLE! L’illustre luminare che conferma solo che in effetti i “cervelli italiani” sono tutti emigrati all’estero, per ridurre al minimo un nesso causale derivante da motivi lavorativi, non considera neppure il numero elevato di medesime patologie conclamate in quegli stessi operai di quella stessa fabbrica, ma valuta solo ogni singolo individuo. 10 morti, altre persone ammalate, questi numeri per la Medicina del Lavoro di Padova non significano nulla (ma come? La scienza non basa le sue tesi proprio sui numeri?). Men che meno significano qualcosa per la Procura di Bassano del Grappa che ribadisce anche in quest’ultima richiesta di archiviazione che un’indagine epidemiologica non servirebbe a nulla (è preoccupante questa presa di posizione in quanto purtroppo il numero dei morti e degli ammalati sarà destinato ad aumentare nel tempo, ogni operaio che ha lavorato alla Tricom è in pericolo!).
Il fumo che dovrebbe essere valutato come “fattore confondente” è qui valutato, anzi, si è voluto valutarlo, come unico “fattore causale”, dove l’unico dato certo che viene considerato come scienza è il numero di sigarette fumate. Può una perizia medica che si dica seria basarsi unicamente addirittura sul numero di sigarette giornaliere che, seppur dichiarate, rappresentano un dato soggetto a variazioni costanti? Per esempio: mio padre dichiarò di fumare dall’età di 15 anni e fumò sino all’età di 35 anni, può aver fumato per tutti questi anni lo stesso numero costante di sigarette dal primo giorno che iniziò a quando cessò? Certo avrebbe potuto intensificare la dose di sigarette giornaliere come però avrebbe potuto egualmente, al contrario, diminuire, tanto più che arrivò a smettere. Questo per ribadire come sia inammissibile che su un dato così aleatorio come questo si basi il solo “nesso causale” lavoro-malattia, che ripeto, nella perizia in oggetto è determinata con il rapporto unico età-sigarette fumate, e che il fumo invece, come la letteratura scientifica propone e insegna, dovrebbe sì non essere escluso, ma gli dovrebbe essere attribuito il valore che merita considerandolo come solo “fattore confondente” in un ambito soprattutto come quello della Tricom-Galvanica PM dove il fumo presente respirato dai lavoratori, in completa assenza di aspiratori, proveniva unicamente dalle vasche delle lavorazioni. “Fattore confondente” questo è quanto la scienza insegna in tutto l’orbe terrestre, probabilmente non alla facoltà di Medicina del Lavoro di Padova, la quale liquidando così il caso specifico della Tricom-Galvanica PM non può che dimostrare che di certo per la stesura di questa perizia medico-legale non si è confrontata con la letteratura scientifica ma con ben altro tipo di materiale cartaceo!
Ancora oggi si insiste nel parlare unicamente di cromo esavalente, è questa infatti la sostanza che per la sua maggiore solubilità è causa principe del serio, ma ancora sottovalutato dalle nostre autorità, inquinamento alle falde acquifere, perché il territorio di Tezze sul Brenta per opera della stessa fabbrica si trova oggi a fare i conti anche con questa realtà…ma per l’operaio vi erano in quella fabbrica ben altri agenti chimici, non meno tossici, con i quali questi lavoravano. Faccio accenno solo al nichel, basti pensare che se per il cromo vi erano tre sole vasche con questa sostanza, di nichel le vasche presenti erano sette! Al perito luminare della Medicina del Lavoro di Padova, nominato dal Tribunale di Bassano del Grappa, si è chiesto di valutare in modo specifico la presenza in fabbrica di questi molteplici cancerogeni con i quali l’operaio lavorava tutti i giorni, in quanto non sembrava emergere nella sua perizia una valutazione di più sostanze, ma soprattutto l’eventuale sinergia (unione-mescuglio) tra queste…facile immaginare la risposta: TENUTO CONTO DI TUTTO QUESTO, IL DATO RIMARREBBE COMUNQUE INVARIATO! Giustizia…da che parte stai?
La battaglia che con l’aiuto di alcuni amici sto conducendo non è contro l’intero mondo degli imprenditori, ma contro quella parte di questa categoria imprenditoriale che ha valutato tutti i rischi tranne quelli dei suoi operai, contro quella parte di imprenditori che dietro la parola “lavoro” vi hanno nascosto una sentenza di morte… Nella battaglia che sto conducendo, ci troviamo di fronte ad una realtà lavorativa quale la TRICOM-GALVANICA PM dove non esisteva nulla a livello di protezione per l’operaio. Capirei l’accanirsi e l’esaltare il dato del fumo se trattassimo un’azienda in “regola” con tutte le normative previste a difesa del lavoratore, ma, torno a ripetere, alla Tricom-Galvanica PM non esisteva nulla di tutto questo, in questa fabbrica la parola “lavoro” era solo un sinonimo di morte! In nome del solo profitto non si è mai badato né all’ambiente né agli operai che la dentro lavoravano. Una fabbrica spesso in crisi che in virtù di amicizie politiche ha più volte ricevuto contributi particolari a livello statale, una fabbrica che per amicizie politiche ha potuto bypassare tutti i sistemi di sicurezza previsti dalla legge (riceve l’agibilità dopo quasi già 10 anni che la ditta è operativa nonostante ancora non siano adempiute tutte le normative richieste e mai provvederà a questo anche in seguito…ciò nonostante quella fabbrica continuerà a funzionare indisturbata…NO, LA MAFIA NON E’ SOLO AL SUD!). Giustizia, da che parte stai?
Segnalazioni gravi di scarichi illegali di cromo e quant’altro nell’ambiente, concentrazioni di queste sostanze tossiche in falda nel comprensorio bassanese e dell’alta padovana, visite mediche negate all’operaio…non sono una novità per la ditta Tricom-Galvanica PM, numerose le segnalazioni di fine anni ’70, anni ’80 e 90, tutte volutamente sottovalutate dalla Procura di Bassano del Grappa, forse non si sarebbe giunti a tanto se dalle competenti autorità giudiziarie, che si sono invece dimostrate incompetenti autorità giudiziarie, avessero fatto il proprio lavoro…la Giustizia, o almeno una briciola di Giustizia per noi del bassanese ci è giunta solo dal Tribunale di Cittadella - sez. staccata di Padova - ma si è dovuto aspettare il 2006 per vedere riconosciuto il danno che questa azienda ci ha lasciato in eredità, non erano fantasie e il/i responsabili hanno un nome ed un cognome, non è stata neppure opera dei talebani come qualche assessore dell’amministrazione comunale di Tezze sul Brenta aveva ipotizzato (parlando di Procure diverse mi sembra di parlare di Giustizie diverse!!!), mi sia legittimo pensare a questo punto che se ad occuparsi ancora una volta di quest’ultimo caso di inquinamento, denunciato nel 2002, fosse stata ancora la Procura di Bassano del Grappa, anziché quella di Cittadella, tutto si sarebbe concluso in una bolla di sapone… Oggi probabilmente sempre a causa di particolari amicizie la Procura di Bassano del Grappa chiude gli occhi e come nulla fosse chiede l’ARCHIVIAZIONE del procedimento per i morti e gli ammalati di questa stessa fabbrica. A BASSANO DEL GRAPPA NON POSSIAMO PARLARE DI GIUSTIZIA, CHIUDETE QUELLA PROCURA!
Questa colpevole mancanza e non curanza da parte della Procura di Bassano del Grappa, in questo procedimento di morti in fabbrica, evidenzia come non solo noi famigliari siamo beffati dalla Giustizia, ma come per primo sia beffato lo Stato che si dimostra incapace di garantire ai suoi cittadini un equo giudizio, l’ennesima proposta di archiviazione della Procura di Bassano non è niente meno, per me, che un invito esplicito a delinquere, tanto a finire in carcere sono solo i “ladri di polli”; l’ennesima proposta di archiviazione della Procura di Bassano del Grappa dimostra , per me, come in questo nostro territorio, l’inquinamento non si sia propagato solo nel sottosuolo! Giustizia…se esisti, da che parte stai?
Silvio Bonan
sabato 7 marzo 2009
sabato 7 febbraio 2009
Vi presento il Veneto giallo
Viaggio tra i mostri ecologici del vicentino

Una volta era l’ombelico del Veneto bianco, dove la Democrazia Cristiana, alle elezioni, prendeva quasi la totalità dei voti. Oggi è diventato l’ombelico del Veneto giallo. Ma i partiti non c’entrano, almeno non direttamente. Il giallo è il colore del cromo, dello zinco, del nichel, dei materiali che infestano il terreno e hanno inquinato la falda acquifera.
Il triangolo vicentino che unisce i comuni di Rosà, Tezze sul Brenta e Rossano Veneto e che ha al centro il piccolo paesino di San Pietro. Ognuno con la sua industria inquinante, il suo mostro che ha contribuito all’agonia di una zona di acque minerali, per alcuni un tempo le più buone d’Italia.
A Rosà il mostro si chiama Orlandi Ov, industria chimica di solventi, chiusa nel 2005 dopo esser passata dal vecchio proprietario, la famiglia Orlandi, alla ditta milanese Bitolea, e da allora lasciata in stato di abbandono. L’accertamento dell’inquinamento delle falde acquifere sottostanti l’azienda da parte dell’Arpav (l’Azienda regionale per la prevenzione e la protezione ambientale del Veneto) ha portato al sequestro dello stabile nell’agosto scorso da parte del tribunale di Bassano del Grappa. Al suo interno sono state trovate decine di vasche e serbatoi per solventi corrosi.
A Rossano il mostro si chiama Plastimec, un’ex galvanica, chiusa da anni, sotto la quale nel giugno 2007 è stata riscontrata la contaminazione da nichel e cromo esavalente. E poi ci sono i mostri di Tezze e San Pietro, i peggiori forse, la Galvanica Pm, ex Tricom, e la Zincheria Valbrenta. Aziende con storie diverse, contro la cui produzione di inquinamento la popolazione si è mossa con comitati e per vie legali, senza trovare però il sostegno delle procure.
Il caso della Tricom viene alla luce nel 2002, grazie a una cittadina, Gabriella Milani. “Nel novembre 2001 la mia famiglia ha cambiato casa spostandosi dalla zona industriale in cui viveva prima – spiega –. Ma ben presto nella nuova abitazione, dopo aver fatto la doccia, io, mio marito e le nostre due figlie abbiamo iniziato ad avere problemi fisici: forte mal di testa, prurito, macchie rosse in tutto il corpo, perdita dei capelli. Così a marzo 2002 abbiamo chiesto un controllo sul nostro pozzo, l’acquedotto era infatti sigillato e l’acqua doveva provenire da lì”.
Nell’acqua della famiglia Milani vengono trovati 170 milligrammi di cromo esavalente al litro, a fronte di un limite consentito di 5. Dopo una lunga ricerca nella zona, si accerta che la responsabile dell’inquinamento è la Gal-vanica Pm, contro cui nel-l’aprile 2003 inizia il processo.
“La mia famiglia si è costituita parte civile – continua la Milani –. Ma dopo 8 mesi dall’inizio, la vigilia di Natale del 2003, la Galvanica Pm ha dichiarato il fallimento. È stata una manovra per aggirare il processo e arrivare all’archiviazione. Quando dopo tre anni e mezzo e trentatré sedute è arrivata la sentenza, la nostra delusione è stata enorme”.
Si calcola che i danni ambientali provocati dalla galvanica di Tezze siano di quasi 160 milioni di euro, ma nessuno pagherà niente per via del fallimento. “Inoltre – conclude la Milani – il responsabile della Galvanica Pm, Paolo Zampierin, è stato condannato a due anni e mezzo di carcere che, per via dell’indulto, non sconterà mai. Pur avendolo chiesto, non siamo mai stati ascoltati dal giudice in tribunale. Siamo entrati nel processo come parte offesa e ne siamo usciti bastonati”.
La famiglia Milani non ha visto e non vedrà alcun risarcimento per ciò che ha subito. Intanto Gabriella è già stata operata due volte di tumore e la sua famiglia è costretta a sottoporsi a controlli continui. Apparizioni in prima serata a Report e Racconti di Vita, interventi su stampa ed emittenti locali hanno reso celebre l’episodio della famiglia Milani e posto l’attenzione sull’industria, contro cui già dagli anni ’70 pendono accuse di inquinamento, e all’interno della quale diversi dipendenti hanno contratto tumori sospetti. Proprio di questo aspetto si occupa il Comitato di Tezze sul Brenta per la difesa del diritto alla salute. Una ventina i tumori in tutto tra gli operai, di cui 14, come attestano alcune perizie, riconducibili al lavoro in azienda.
“A livello processuale la situazione è ferma – spiega Luciano Orio, presidente del Comitato – perché pm e gip del Tribunale di Bassano del Grappa continuano a rimpallarsi l’un l’altro la decisione sul processo, se rinviare a giudizio gli indagati o archiviare”. L’ultimo rinvio, il terzo, risale al 21 novembre. Ora tutto è in mano al pm, ma i tempi sembrano allungarsi e il rischio è che il reato cada in prescrizione. “Il pm vuole chiedere l’archiviazione basandosi su una perizia secondo cui i tumori sarebbero dovuti solo all’abuso di sigarette – spiega Emanuele Bonin, responsabile del Comitato –. Ma una perizia che abbiamo presentato noi dimostra che i morti in quella fabbrica erano tre volte superiori alla media nazionale e a quella del Veneto”.
Oltre ai morti e alle acque inquinate, a Tezze succedono cose che hanno dell’incredibile. Proprio vicino al pozzo dei Milani, ad esempio, sono state trovate margherite dalle forme strane, con un unico gambo e con le corolle unite una all’altra, come gemelli siamesi. “Dopo la nostra segnalazione – spiega ancora la Milani – ogni settimana l’Arpav veniva a controllare il pozzo. Prima di iniziare l’analisi doveva far scorrere per un’ora l’acqua contaminata che cadeva in un punto del prato. Proprio lì sono cresciuti gli strani fiori che poi sono stati analizzati in varie università”. Inoltre ci sono i racconti, confermati, delle ossa dei corpi sepolti al cimitero ritrovate gialle a causa del cromo nel terreno, e così la pelle delle gambe dei bambini che giocavano a calcio in una zona dove venivano scaricati fanghi contaminati.
Infine c’è una storia che, se possibile, ha ancora più dell’assurdo. Basta spostarsi di pochi metri da Tezze, meno di 12mila abitanti, e arrivare a San Pietro di Rosà, 1200 anime. Una storia che inizia nel 1990 quando la società Zincheria Valbrenta acquista un terreno agricolo in paese nella cosiddetta area PIP49, zona tra l’altro interessata da un sito archeologico, per spostare un’attività già esi-stente, ampliandola a dismisura. Venendo a conoscenza del progetto di costruzione di un “mostro ecologico”, la popolazione prova a opporsi, ma il Comune non demorde e dà l’ok ai lavori che partono nel giugno 2002. Il paese, già organizzato in comitato, decide di dar vita a un presidio di fronte al cantiere, in piedi ancora oggi.
“La nostra lotta è nata come atto di indignazione della cittadinanza contro lo spostamento in paese di un’attività insalubre a ridosso delle abitazioni del paese – spiega Daniele Pasinato vicepresidente del Presidio - Durante la fase di costruzione alcuni abitanti hanno notato camion che scaricavano materiale nel cantiere, a una decina di metri di profondità, che poi si è rivelato essere inquinante. Inoltre, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, abbiamo visto fuoriuscire dal terreno vicino alla zincheria una schiuma bianca e gelatinosa. Si trattava di acrilammide, una sostanza tossica e mutagena”.
“Il Tribunale di Bassano ha archiviato tutti i procedimenti - continua Pasinato -, non ha dato seguito a una sola delle nostre denunce che riguardavano gli abusi edilizi e il deposito di rifiuti tossici nell’area. A livello legale le abbiamo provate tutte: Csm, Procura generale di Cassazione, Antimafia”. Ma gli abitante di San Pietro non si sono ancora stancati di urlare la popria indignazione. Dopo una manifestazione pubblica il 31 gennaio, prevedono presto nuove iniziative per continuare a mantenere alta la loro dignità di cittadini.
Ilaria Leccardi
Cenerentola
per info: Presidio San Pietro
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lunedì 26 gennaio 2009
Bolivia: approvata la nuova Costituzione
Trionfa il popolo indigeno
Quando il presidente boliviano Evo Morales ha gridato dal balcone del Palacio Quemado "¡Patria o muerte!”, una moltitudine di persone da Piazza Murillo, in pieno centro a La Paz, ha risposto: "¡Venceremos!".
Un'ovazione ha prolungato le ultime parole del presidente. Poi i fuochi artificiali hanno cominciato a risplendere nel cielo di La Paz, dove la gente, nonostante il buio e il freddo, si è riunita per festeggiare il trionfo del referendum che ha approvato la nuova Costituzione Politica dello Stato. Il 60% della popolazione ha detto sì.
Le bandiere boliviane e le whipalas multicolore (le tipiche bandiere che rappresentano le nazioni indigene) sventolavano mentre dal balcone Morales e il suo gabinetto salutavano e partecipavano ai festeggiamenti durati fino a notte inoltrata.
Dopo un processo in cui i movimenti indigeni e contadini sono stati protagonisti, e che l'opposizione boliviana ha ostacolato fino ad arrivare al massacro nel dipartimento del Pando, costato la vita a 20 persone, la scorsa domenica il voto dei cittadini e delle cittadine ha sostenuto i cambiamenti che sta vivendo il paese.
"Dal 2005 al 2009 andiamo di trionfo in trionfo. I neoliberali, venditori di patria, sono stati sconfitti grazie alla coscienza del popolo boliviano", ha detto Morales dalla Casa del Governo.
Con queste parole il capo di Stato ha riassunto una storia iniziata a metà degli anni 2000 con il trionfo del Movimento al Socialismo (Mas), ma partita anni indietro con le ribellioni nelle città di El Alto, la Guerra dell'Acqua e il richiamo storico dei movimenti contadini e indigeni.
Nel suo discorso Morales ha riaffermato la scelta del governo di non rispondere agli attacchi dell'opposizione e ha chiamato prefetti, sindaci, cittadini e dirigenti sindacali affinché vengano applicate nell'immediato le autonomie contemplate dalla Costituzione.
"Voglio che sappiate che qui è finito lo stato coloniale, è morto il colonialismo interno e straniero", ha continuato ancora Morales.
Alcuni minuti prima del discorso del Presidente gli osservatori internazionali hanno segnalato la trasparenza della giornata elettorale, annullando le denunce di fronde lanciate da prefetti e politici oppositori. Salvo alcuni piccoli contrattempi, la votazione si è svolta con normalità e tranquillità.
La Carta Magna approvata ha 411 articoli discussi e approvati attraverso un'Assemblea Costituente con partecipanti eletti da voti popolari. La nuova Costituzione stabilisce uno Stato plurinazionale, orientato all'integrazione indigena, in cui si riconoscono i 36 popoli indigeni esistenti in Bolivia. Un altro punto fondamentale del testo approvato è l'ampliamento dei diritti dei cittadini con un modello di democrazia partacipativa.
"Qui inizia la nuova Bolivia, l'eguaglianza e la riconquista della dignità del popolo boliviano", ha concluso Morales.
Nella notte fredda di La Paz, il calore della realtà è stato più forte. Dopo decenni di resistenza, dolori, speranza, l'umano ha vinto contro la negligenza dei governi passati, durante i quali le decisioni erano prese da minoranze che avevano più ammirazione verso il nord del continente americano che non verso il proprio popolo.
Libera traduzione da Agencia Bolivariana de Noticias
Un'ovazione ha prolungato le ultime parole del presidente. Poi i fuochi artificiali hanno cominciato a risplendere nel cielo di La Paz, dove la gente, nonostante il buio e il freddo, si è riunita per festeggiare il trionfo del referendum che ha approvato la nuova Costituzione Politica dello Stato. Il 60% della popolazione ha detto sì.
Le bandiere boliviane e le whipalas multicolore (le tipiche bandiere che rappresentano le nazioni indigene) sventolavano mentre dal balcone Morales e il suo gabinetto salutavano e partecipavano ai festeggiamenti durati fino a notte inoltrata.
Dopo un processo in cui i movimenti indigeni e contadini sono stati protagonisti, e che l'opposizione boliviana ha ostacolato fino ad arrivare al massacro nel dipartimento del Pando, costato la vita a 20 persone, la scorsa domenica il voto dei cittadini e delle cittadine ha sostenuto i cambiamenti che sta vivendo il paese.
"Dal 2005 al 2009 andiamo di trionfo in trionfo. I neoliberali, venditori di patria, sono stati sconfitti grazie alla coscienza del popolo boliviano", ha detto Morales dalla Casa del Governo.
Con queste parole il capo di Stato ha riassunto una storia iniziata a metà degli anni 2000 con il trionfo del Movimento al Socialismo (Mas), ma partita anni indietro con le ribellioni nelle città di El Alto, la Guerra dell'Acqua e il richiamo storico dei movimenti contadini e indigeni.
Nel suo discorso Morales ha riaffermato la scelta del governo di non rispondere agli attacchi dell'opposizione e ha chiamato prefetti, sindaci, cittadini e dirigenti sindacali affinché vengano applicate nell'immediato le autonomie contemplate dalla Costituzione.
"Voglio che sappiate che qui è finito lo stato coloniale, è morto il colonialismo interno e straniero", ha continuato ancora Morales.
Alcuni minuti prima del discorso del Presidente gli osservatori internazionali hanno segnalato la trasparenza della giornata elettorale, annullando le denunce di fronde lanciate da prefetti e politici oppositori. Salvo alcuni piccoli contrattempi, la votazione si è svolta con normalità e tranquillità.
La Carta Magna approvata ha 411 articoli discussi e approvati attraverso un'Assemblea Costituente con partecipanti eletti da voti popolari. La nuova Costituzione stabilisce uno Stato plurinazionale, orientato all'integrazione indigena, in cui si riconoscono i 36 popoli indigeni esistenti in Bolivia. Un altro punto fondamentale del testo approvato è l'ampliamento dei diritti dei cittadini con un modello di democrazia partacipativa.
"Qui inizia la nuova Bolivia, l'eguaglianza e la riconquista della dignità del popolo boliviano", ha concluso Morales.
Nella notte fredda di La Paz, il calore della realtà è stato più forte. Dopo decenni di resistenza, dolori, speranza, l'umano ha vinto contro la negligenza dei governi passati, durante i quali le decisioni erano prese da minoranze che avevano più ammirazione verso il nord del continente americano che non verso il proprio popolo.
Libera traduzione da Agencia Bolivariana de Noticias
sabato 10 gennaio 2009
Attacco a Gaza. Israele sta sperimentando armi non convenzionali
Israele sta sperimentando nuove armi non convenzionali contro la popolazione civile di Gaza. E' la denuncia del New Weapons Research Committee, secondo il quale "si sta ripetendo nella Striscia ciò che è già avvenuto in Libano nel 2006, quando lo stato ebraico utilizzò nel conflitto contro l'organizzazione sciita Hezbollah il fosforo bianco, il Dense inert metal explosive (Dime) e gli ordigni termobarici, tre tipologie di strumenti di offesa riconoscibili per le caratteristiche delle ferite che provocano, nonché le bombe a grappolo e i proiettili all'uranio, che hanno lasciato tuttora sul terreno nel Paese dei cedri tracce di radioattività e ordigni inesplosi".
Si moltiplicano le evidenze dell'impiego di queste armi ora anche nella Striscia di Gaza anche se, precisa il NWRC, a causa del blocco degli ingressi ancora non sono state possibili verifiche dirette indipendenti. "Le immagini e le testimonianze che giungono dal conflitto - spiega Paola Manduca, professoressa di genetica dell'università di Genova e membro del NWRC - presentano significative somiglianze con quelle raccolte e verificate nella guerra di luglio e agosto 2006 in Libano". Mads Gilbert, medico norvegese dell'organizzazione non governativa Norwac, attualmente al lavoro nell'ospedale Shifa, il maggiore di Gaza, segnala che "molti arrivano con amputazioni estreme, con entrambe le gambe spappolate"; ferite, spiega, "che io sospetto siano ferite da armi Dime". Non solo, ma anche le immagini che arrivano da Gaza sembrano confermare i sospetti. Le ustioni riportate da alcuni bambini a Gaza, appaiono molto simili a quelle evidenziate nel 2006 dal dottor Hibraim Faraj, chirurgo dell'ospedale di Tiro e dal dottor Bachir Cham di Sidone. "Attualmente - sottolinea Manduca - ci arrivano report da medici e da testimoni informati che ci fanno ritenere che, oltre alle armi usate nel 2006, ulteriori nuove armi siano sperimentate oggi a Gaza. Questo rende necessario che ulteriori indagini scientifiche e tecniche siano intraprese".
In questi due anni il NWRC ha realizzato verifiche scientifiche con tecniche di istologia, microscopia elettronica a scansione e chimiche su biopsie da vittime della guerra del 2006 e insieme a dottori libanesi e palestinesi, ha raccolto casistica clinica e documentazione dalle quali emerge che bombe termobariche, Dime e armi a intensità subletale mirate sono state usate nelle guerre del 2006 in Libano, mentre Dime e armi mirate subletali sono state impiegate a Gaza. NWRC ha presentato una relazione di questo lavoro al Human Rights Council delle Nazioni unite, al Tribunale del popolo sui crimini della guerra in Libano ed è stato ascoltato dalla Commisione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito del Senato. Inoltre ha collaborato con scienziati internazionali che hanno identificato l'uso di bombe a penetrazione con uranio, arricchito e impoverito, in Libano.
NWRC è una commissione indipendente di scienziati basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree dove vengono utilizzate. Gli scopi della sua attività sono: ottenere prova delle armi usate; determinare i rischi a lungo termine su individui e popolazioni anche dopo la fine del conflitto; imparare a curare e proteggere i sopravvissuti attraverso indagini cliniche e predittive.
COMUNICATO STAMPA newweapons
Si moltiplicano le evidenze dell'impiego di queste armi ora anche nella Striscia di Gaza anche se, precisa il NWRC, a causa del blocco degli ingressi ancora non sono state possibili verifiche dirette indipendenti. "Le immagini e le testimonianze che giungono dal conflitto - spiega Paola Manduca, professoressa di genetica dell'università di Genova e membro del NWRC - presentano significative somiglianze con quelle raccolte e verificate nella guerra di luglio e agosto 2006 in Libano". Mads Gilbert, medico norvegese dell'organizzazione non governativa Norwac, attualmente al lavoro nell'ospedale Shifa, il maggiore di Gaza, segnala che "molti arrivano con amputazioni estreme, con entrambe le gambe spappolate"; ferite, spiega, "che io sospetto siano ferite da armi Dime". Non solo, ma anche le immagini che arrivano da Gaza sembrano confermare i sospetti. Le ustioni riportate da alcuni bambini a Gaza, appaiono molto simili a quelle evidenziate nel 2006 dal dottor Hibraim Faraj, chirurgo dell'ospedale di Tiro e dal dottor Bachir Cham di Sidone. "Attualmente - sottolinea Manduca - ci arrivano report da medici e da testimoni informati che ci fanno ritenere che, oltre alle armi usate nel 2006, ulteriori nuove armi siano sperimentate oggi a Gaza. Questo rende necessario che ulteriori indagini scientifiche e tecniche siano intraprese".
In questi due anni il NWRC ha realizzato verifiche scientifiche con tecniche di istologia, microscopia elettronica a scansione e chimiche su biopsie da vittime della guerra del 2006 e insieme a dottori libanesi e palestinesi, ha raccolto casistica clinica e documentazione dalle quali emerge che bombe termobariche, Dime e armi a intensità subletale mirate sono state usate nelle guerre del 2006 in Libano, mentre Dime e armi mirate subletali sono state impiegate a Gaza. NWRC ha presentato una relazione di questo lavoro al Human Rights Council delle Nazioni unite, al Tribunale del popolo sui crimini della guerra in Libano ed è stato ascoltato dalla Commisione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito del Senato. Inoltre ha collaborato con scienziati internazionali che hanno identificato l'uso di bombe a penetrazione con uranio, arricchito e impoverito, in Libano.
NWRC è una commissione indipendente di scienziati basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree dove vengono utilizzate. Gli scopi della sua attività sono: ottenere prova delle armi usate; determinare i rischi a lungo termine su individui e popolazioni anche dopo la fine del conflitto; imparare a curare e proteggere i sopravvissuti attraverso indagini cliniche e predittive.
COMUNICATO STAMPA newweapons
giovedì 18 dicembre 2008
Continua la battaglia di Salvatore Palumbo
A maggio era salito sulla stele che ricorda la strage di Capaci, lungo l'autostrada Palermo-Mazara del Vallo. Lunedì 15 dicembre ha montato una tenda davanti al tribunale di Palermo per urlare contro l'ingiustizia del suo licenziamento. Oggi Salvatore Palumbo ha scelto i binari della stazione per gridare ancora più forte. Si è incatenato, insieme con la moglie e i tre figli, chiedendo il reintegro a Fincantieri, l'azienda che nell'agosto 2007 lo aveva lasciato a casa, senza stipendio e con una famiglia da mantenere. Solo l'intervento delle forze dell'ordine, che hanno tranciato le catene, ha permesso di liberare i binari e far riprendere la normale circolazione dei mezzi.
Ma Palumbo non si arrenderà. Lotta contro quella che definisce un'ingiustizia, un licenziamento che Fincantieri giustifica dicendo di averlo sorpreso a pescare durante il turno di notte. Eppure già da tempo in azienda la sua posizione era diventata scomoda. Perché lui sul posto di lavoro aveva sempre avuto una sensibilità particolare per il tema della sicurezza, a tal punto da diventare "fastidioso". Ora da quasi un anno e mezzo lotta per la sua riassunzione, ma i suoi ricorsi sono stati finora respinti dal tribunale del lavoro. Adesso è Natale e non parliamo di regali, lui non sa dove trovare i soldi per dare da mangiare ai suoi figli. Lo scorso 6 dicembre era salito fino a Torino, in occasione della manifestazione a un anno dalla strage della Thyssen, per raccontare la sua storia. Ora spera che qualcuno sia disposto ad ascoltarla, lui di sicuro farà di tutto perché ciò avvenga.
Ma Palumbo non si arrenderà. Lotta contro quella che definisce un'ingiustizia, un licenziamento che Fincantieri giustifica dicendo di averlo sorpreso a pescare durante il turno di notte. Eppure già da tempo in azienda la sua posizione era diventata scomoda. Perché lui sul posto di lavoro aveva sempre avuto una sensibilità particolare per il tema della sicurezza, a tal punto da diventare "fastidioso". Ora da quasi un anno e mezzo lotta per la sua riassunzione, ma i suoi ricorsi sono stati finora respinti dal tribunale del lavoro. Adesso è Natale e non parliamo di regali, lui non sa dove trovare i soldi per dare da mangiare ai suoi figli. Lo scorso 6 dicembre era salito fino a Torino, in occasione della manifestazione a un anno dalla strage della Thyssen, per raccontare la sua storia. Ora spera che qualcuno sia disposto ad ascoltarla, lui di sicuro farà di tutto perché ciò avvenga.
martedì 9 dicembre 2008
Altre 5 vittime nella guerra del lavoro
La testimonianza da Dalmine
Una nuova strage, un nuovo nero bollettino di guerra. Nella giornata quasi conclusa sono 5 i morti sul lavoro in tutta Italia, dal Nord al Sud, senza distinzioni. Dalmine (Bergamo), Torretta di Galliavola (Pavia), Santa Giustina (Belluno), Amatrice (Rieti), San Pallegrino (Bergamo). Questi i luoghi dei decessi.
Riportiamo il comunicato diffuso dallo Slai Cobas sulla morte di Sergio Riva, 20 anni, alla Tenaris di Dalmine.
Un altro assassinio programmato e annunciato alla Tenaris Dalmine di Bergamo. Si tratta di un giovane operaio interinale di 20 anni da quasi 1 anno in fabbrica. E' successo alle 1.30 di questa notte nel reparto fas espander (tubi di grosso diamentro), quando una squadra ridotta di operai stava attrezzando una macchina dell'impianto che doveva iniziare a produrre alle 6 sul primo turno. Lo Slai Cobas Dalmine, dopo aver verificato la dinamica con gli operai del reparto, si riserva di presentare nei prossimi giorni un esposto alla procura Affinché si faccia luce sull'accaduto.
Ribadiamo con forza che quanto successo non è una fatalità, come sembra già circolare nelle note interne dell'azienda, ma il frutto della corsa alla produzione a tutti i costi. Produzione che è aumentata enormemente in questi anni, fino a raggiungere i record pubblicizzati dalla stessa Tenaris Dalmine.
I profitti top intascati da padron Rocca in questi anni non sono caduti dal cielo ma sono stati ottenuti spremendo al massimo gli impianti con recuperi produttivi, festività lavorate, flessibilità della turnistica, saturazione delle 8 ore di lavoro. Il tutto garantito dallo sfruttamento e dalla condizione di ricatto per gli operai nei reparti, in particolare per quelli precari, costretti a lavorare in qualsiasi condizione per sperare di essere confermati. Ad esempio, è norma che questi giovani operai facciano 48 ore alla settimana, in quanto i capi turno "chiedono" il salto del riposo settimanale previsto dal contratto.
Situazione ancora più accentuata in questo periodo in cui la Dalmine, utilizzando il tema della "crisi", ha annunciato che la maggioranza degli operai interinali non saranno confermati nei prossimi mesi. Questo ha scatenato una guerra tra "poveri" per l'accaparramento dei pochi posti di lavoro.
Slai Cobas Dalmine per il sindacato di classe. Coordinatore provincia di Bergamo, Sabastiano Lamera
Riportiamo il comunicato diffuso dallo Slai Cobas sulla morte di Sergio Riva, 20 anni, alla Tenaris di Dalmine.
Un altro assassinio programmato e annunciato alla Tenaris Dalmine di Bergamo. Si tratta di un giovane operaio interinale di 20 anni da quasi 1 anno in fabbrica. E' successo alle 1.30 di questa notte nel reparto fas espander (tubi di grosso diamentro), quando una squadra ridotta di operai stava attrezzando una macchina dell'impianto che doveva iniziare a produrre alle 6 sul primo turno. Lo Slai Cobas Dalmine, dopo aver verificato la dinamica con gli operai del reparto, si riserva di presentare nei prossimi giorni un esposto alla procura Affinché si faccia luce sull'accaduto.
Ribadiamo con forza che quanto successo non è una fatalità, come sembra già circolare nelle note interne dell'azienda, ma il frutto della corsa alla produzione a tutti i costi. Produzione che è aumentata enormemente in questi anni, fino a raggiungere i record pubblicizzati dalla stessa Tenaris Dalmine.
I profitti top intascati da padron Rocca in questi anni non sono caduti dal cielo ma sono stati ottenuti spremendo al massimo gli impianti con recuperi produttivi, festività lavorate, flessibilità della turnistica, saturazione delle 8 ore di lavoro. Il tutto garantito dallo sfruttamento e dalla condizione di ricatto per gli operai nei reparti, in particolare per quelli precari, costretti a lavorare in qualsiasi condizione per sperare di essere confermati. Ad esempio, è norma che questi giovani operai facciano 48 ore alla settimana, in quanto i capi turno "chiedono" il salto del riposo settimanale previsto dal contratto.
Situazione ancora più accentuata in questo periodo in cui la Dalmine, utilizzando il tema della "crisi", ha annunciato che la maggioranza degli operai interinali non saranno confermati nei prossimi mesi. Questo ha scatenato una guerra tra "poveri" per l'accaparramento dei pochi posti di lavoro.
Slai Cobas Dalmine per il sindacato di classe. Coordinatore provincia di Bergamo, Sabastiano Lamera
sabato 6 dicembre 2008
A un anno dalla Thyssen
Contro tutte le stragi
Il freddo pungente, le Alpi innevate, il dolore e la voglia di continuare a lottare, hanno accompagnato questa mattina il corteo di 5mila persone che a Torino dai cancelli della Thyssen (corso Regina Margherita) è arrivato fino alle porte del Palazzo di Giustizia.
C'erano i familiari delle vittime della strage del 6 dicembre 2007 e i loro compagni di fabbrica. C'era la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro. C'era Francesca Caliolo, moglie di Antonio Mingolla, una delle troppe vittime dell'Ilva di Taranto, la fabbrica assassina. C'erano Dante De Angelis, ferroviere, e Salvatore Palumbo, operaio alla Fincantieri Palermo, entrambi licenziati per aver denunciato le condizioni di insicurezza nei rispettivi luoghi di lavoro. C'erano gli studenti, compagni di Vito Scafidi, morto nel crollo del soffitto della sua scuola di Rivoli mentre faceva lezione. C'era l'associazione dei parenti delle vittime dell'Eternit. E molti altri ancora.
Non certo il fiume che era visto un anno fa, subito dopo la strage, e che aveva invaso le vie del centro cittadino. Ma una solida base disposta a continuare la lotta per la dignità e la sicurezza, per il lavoro e la giustizia.
C'erano i familiari delle vittime della strage del 6 dicembre 2007 e i loro compagni di fabbrica. C'era la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro. C'era Francesca Caliolo, moglie di Antonio Mingolla, una delle troppe vittime dell'Ilva di Taranto, la fabbrica assassina. C'erano Dante De Angelis, ferroviere, e Salvatore Palumbo, operaio alla Fincantieri Palermo, entrambi licenziati per aver denunciato le condizioni di insicurezza nei rispettivi luoghi di lavoro. C'erano gli studenti, compagni di Vito Scafidi, morto nel crollo del soffitto della sua scuola di Rivoli mentre faceva lezione. C'era l'associazione dei parenti delle vittime dell'Eternit. E molti altri ancora.
Non certo il fiume che era visto un anno fa, subito dopo la strage, e che aveva invaso le vie del centro cittadino. Ma una solida base disposta a continuare la lotta per la dignità e la sicurezza, per il lavoro e la giustizia.
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