mercoledì 12 agosto 2009

Giù le mani dalle officine
gli operai della Innse hanno vinto

Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE di Milano diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!

È stata in prima pagina, ne parlano tutti i telegiornali, tutta l’Italia ha visto la foto con i quattro operai INNSE sul carro ponte della loro fabbrica, tuta blu, casco giallo e muso duro. “Il simbolo della crisi”, ha scritto qualcuno. Ma quale crisi? Quella economica che tutti credono che sarà passata fra un anno o due? O piuttosto la crisi di un sistema economico che ormai è fallito. Un sistema economico e sociale basato sullo sfruttamento del lavoro salariato. Un sistema che permette la produzione soltanto fino a quando aumenta il capitale.

La INNSE ha svelato la causa dell’attuale crisi con tutte le assurdità di un sistema economico destruttivo: una fabbrica con una maestranza qualificata e specializzata va chiusa per il semplice motivo che il capitale del suo padrone aumenta di più con la demolizione delle macchine che con la produzione. La legge dello Stato borghese, garantendo la proprietà privata, permette al proprietario la rottamazione delle macchine, con la conseguenza assurda che lo Stato protegge con le forze dell’ordine la distruzione della base economica dei suoi cittadini. Lo Stato dei padroni, quindi, non garantisce soltanto, come una volta, lo sfruttamento del lavoro salariato, ma persino la demolizione dei mezzi di produzione dei salariati. Ecco perché è fallito il sistema economico basato sullo sfruttamento del lavoro salariato: una volta, quando gli operai scioperavano, l’esercito proteggeva i crumiri per imporre la continuità della produzione, mentre oggi alla INNSE, un esercito di polizia impone la fine della produzione che è stata portata avanti dagli operai senza padrone e contro la sua volontà.

Ma ce n’è di più. La INNSE ha anche svelato, per chi l’avesse dimenticato, che lo Stato non protegge i suoi cittadini, ma soprattutto la proprietà privata, cioè il capitale. Questo non è niente di nuovo, la novità consiste nel fatto che la classe padronale, pur avendo perso ogni interesse alla produzione industriale, usa le Istituzioni statali per la spartizione tra di loro della ricchezza prodotta in passato. Se non fosse così, come si spiega il fatto che un patrimonio industriale come la INNSE è stato svenduto per un prezzo simbolico di 700'000 Euro ad un rottamaio speculatore come Genta? Un rottamaio che ora rivendica il suo diritto da proprietario per realizzare il lucro, smantellando e vendendo i macchinari pezzo per pezzo. Dapprima, lo Stato ha organizzato la svendita della INNSE, adesso garantisce con le forze dell’ordine il suo smantellamento, garantendo la proprietà privata e impedendo la continuazione di una produzione. Piuttosto che permettere a 50 famiglie di guadagnarsi il pane tramite questa produzione, lo Stato dei padroni li costringe a vivere delle elemonsini chiamati “ammortizzatori sociali”.

Quando una classe dominante non permette più a un numero crescente della società a nutrirsi da solo, è giunto il momento di rovesciarla. I quattro operai della INNSE sul carro ponte non sono tanto “il simbolo della crisi”, ma piuttosto il simbolo del suo superamento. Poiché, questi operai dimostrano che si può lottare, che la crisi non è un destino da sopportare come un fenomeno naturale, ma invece il risultato di un sistema economico che va superato. La INNSE è l’esempio come va affrontata la crisi: invece di subire passivamente ulteriori tagli di salario, aumenti dei ritmi e degli orari di lavoro, licenziamenti e chiusure di fabbriche, gli operai devono diventare i protagonisti del proprio destino. Gli operai della INNSE hanno portato la prova che è possibile ribellarsi anche essendo in pochi. 50 operai che sfidano la prepotenza padronale e statale trasformatasi in impotenza, quando i quattro, eludendo un assedio permanente di 500 sbirri, hanno conquistato il carro ponte della loro fabbrica.

Guardando la foto dei quattro operai INNSE, tanti altri operai che si chiederanno: Perché loro si ribellano e noi no? Perché lasciarsi portare al macello come dei buoi senza almeno aver tentato di lottare? Perché non facciamo anche noi come gli operai della INNSE? Da quando c’è l’assedio militare alla INNSE, si sono verificati almeno altri tre esempi di ribellione operaia: invece di andare in ferie, gli operai della Ercole Marelli a Sesto San Giovanni hanno occupato la fabbrica, un altro presidio di fabbrica c’è alla Manuli di Ascoli Piceno nelle Marche. «Siamo l´INNSE della Toscana» dicono gli operai della Bulleri Brevetti di Cascina che hanno bloccato la fabbrica con un presidio permanente davanti ai cancelli. Comunque finisca la lotta alla INNSE, o con la ripresa produttiva o con la chiusura definitva imposta dalla repressione statale, una cosa è certa: è valsa la pena di resistere tanti mesi, e di passare tanti giorni e tante notti in cima di una gru, perché questa lotta ha il potenziale per diventare il principio di una lotta operaia che si estende sempre di più, diventando finalmente una lotta di classe contro classe per rovesciare questo sistema corrotto e marcio fino alle ossa. Giù le mani dalle Officine! Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!

lunedì 10 agosto 2009

Zanon, momenti cruciali
Mercoledì si decide sull'espropriazione

E' la settimana decisiva. Quella in cui si avrà una decisione finale sulla situazione legale della Zanon. Dopo 9 anni di gestione operaia che si è affermata a livello internazionale per il suo impegno solidale e il suo legame con la comunità, gli operai potranno cominciare una nuova tappa se il progetto di legge di espropriazione definitiva sarà approvato dalla legislatura provinciale. L'impegno politico c'è, ora bisogna portarlo a termine.

Domani, martedì 11 agosto, la Commissione dei Bilanci dovrà emettere un documento e mercoledì in serata i deputati dibatteranno voteranno in merito all'espropriazione della fabbrica, affinché continui a lavorare sotto controllo degli operai e al servizio della comunità.

Da più di un mese i ceramisti stanno lottando per ottenere i pareri favorevoli delle commissioni che devono approvare il progetto di legge nella legislatura: la Commissione A degli Affari Costituzionali e la Commissione B dei Bilanci.

In merito alla bozza del progetto, hanno diffuso un comunicato stampa: "Non è stato un lavoro facile. Anche se il governatore Sapag, dall'inizio del suo incarico, ha detto che avrebbe risolto il problema degli operai della Zanon, nel corso dell'ultimo anno ha pensato diverse varianti, come l'acquisto della fabbrica e l'acquisto dei creditori privilegiati. A entrambi ci siamo opposti perché avrebbe voluto dire spendere milioni di soldi del popolo a favore della famiglia Zanon e dei suoi creditori, attori principali dello svuotamento della fabbrica. Siamo riusciti a stabilire che l'espropriazione sia la strada per risolvere il problema legale della Zanon sotto controllo operaio. Ma hanno rifiutato di discutere il nostro progetto di legge di espropriazione e statalizzazione senza pagamento e sotto controllo operaio".

Dopo passi avanti e indietro, il potere esecutivo insieme a diversi gruppi di deputati, l'anno passato ha elaborato un progetto di espropriazione che contempla l'accordo con i creditori privilegiati del fallimento, tra cui Sacmi, il Banco Mondiale e l'Istituto Autarchico di Sviluppo Produttivo (Iadep), organismo dipendente della provincia di Neuquén.

Attualmente, la Commissione degli Affari Costituzionale ha dato il suo appoggio e il 4 agosto la Commissione dei Bilanci ha discusso il progetto di legge alla presenza di una delegazione di operai. Da quanto hanno riportato questi ultimi, "si sono presentati anche membri delle camere imprenditoriali e il segretario generale del sindacato Cgt, guidati da Edgardo Phielipp, ex funzionario dell'Università del Comahue durante la dittatura militare, attuale vicepresidente di Acipan, e da Sergio Rodriguez, segretario generale della Cgt regionale, che nel 2002, quando dirigeva il Sindacato del Commercio di Neuquén, ha organizzato delle ronde per attaccare la gestione operaia che stava iniziando. Questi settori erano presenti con un solo obiettivo: tentare di bloccare la discussione del progetto di legge e togliere credito alla nostra lotta che dura da quasi 9 anni".

Il Comitato di Consenso è formato dal governo provinciale, dalle camere di imprenditori e dalla Cgt, "la cui unica funzione è zittire i reclami dei lavoratori parlando di pace sociale, ma sollecitando metodi repressivi quando diventa necessario. Il suo obiettivo finale è difendere gli interessi dei padroni e far sì che i lavoratori paghino per una crisi economica internazionale che non hanno generato", hanno aggiunto gli operai. "In questo contesto stiamo portando avanti una delle battaglie più dure, per ottenere le approvazioni delle commissioni A e B, condizioni fondamentali affinché il progetto di legge di espropriazione della fabbrica venga discusso nella sessione speciale del 12 agosto".

I lavoratori della Zanon, assieme al Sindacato Ceramista di Neuquén, hanno convocato i lavoratori di tutto il paese, i sindacati, le organizzazioni di diritti umani, le organizzazioni studentesche e politiche, e il popolo intero, a manifestare mercoledì 12 agosto fino alla Legislatura Provinciale. "Per fare un passo fondamentale verso l'espropriazione della Zanon, affinché la fabbrica rimanga definitivamente nelle mani dei lavoratori e del popolo. Sarà una giornata storica. Una giornata di lotta e mobilitazione, gli strumenti con cui riusciamo a conquistare tutti i nostri diritti".

per maggiori informazioni www.obrerosdezanon.com.ar

da Anred

mercoledì 29 luglio 2009

Strage della Umbria Olii
Lettera di una sorella

Sono Lorena Coletti sorella di una delle vittime della strage della Umbria Olii. Il 25 novembre 2006 quattro uomini si alzarono e partirono per andare al lavoro per guadagnarsi da vivere. Era di sabato, il lavoro lo avevano iniziato il martedì, dovevano installare delle passarelle sopra a dei silos. In quei silos c'era gas Esano, gas molto infiammabile, questo poiché nessuno aveva fatto una bonifica di questi silos. Verso le 13 di quel maledetto giorno un'enorme esplosione avvenì. Venni a sapere della notizia solamente la sera molto tardi. La moglie che lo aspettava per il pranzo non vedendolo tornare fece ungiro di telefonate verso i suoi colleghi, ma fu un vano tentativo, perchè non ottenne nessuna risposta. Fino a che non telefonò alla moglie del datore di lavoro che gli diedela notizia.

Giuseppe Coletti mio fratello, Maurizio Manili datore di lavoro, Vladimir Thode e Tullio Mottini erano morti nell'espolsione. Unico sopravvissuto Dimiri Claudio. Il proprietario della Umbria Olii fu indagato e rinviato a giudizio con l'accusa di omicidio plurimo con l' aggravante della colpa cosciente e della previsione dell'evento. Secondo l'accusa Del Papa avrebbe dovuto avvertire i lavoratori della ditta Manili, della pericolosità delle sostanze contenute nei serbatoi dove non era mai stata fatta la bonifica. Un'omissione che sarebbe secondo i giudici e i periti dell'accusa, alla base dell'incidente causato dall'utilizzo di una fiamma ossidrica per terminare i lavori sulla superficie metallica dei silos.

Il 24 novembre prossimo doveva iniziare il processo penale, ma Giorgio Del Papa e la sua difesa impugnano il tutto facendo ricorso in Cassazione. Oggi apprendo la notizia dal mio avvocato che la cassazione decide a ottobre sul rinvio a giudizio penale. Ma per la seconda volta viene alla mia famiglia fatta un'altra richiesta di risarcimento. Sono passati quasi tre anni, e l'anno scorso ci fu la prima richiesta: di oltre 35 milioni di euro. Ora mi chiedo se anche quest'anno la cifra sia sempre quella oppure, sehanno messo a conto anche gli interessi, visto il tempo che è passato. Sottolineo che a mio fratello Giuseppe Coletti è stata stroncata la vita, e a Giorgio Del Papa non è stato neanche dato un giorno di carcere e tanto meno di arresti domiciliari.

Questa è la giustizia Italiana! In tre anni mio fratello è stato ucciso diverse volte, ora dico basta. Degli operai che partono la mattina per fare il loro dovere, per mantenere la famiglia e fare una vita onesta e dignitosa, non meritano di morire. Come non meritano che la loro dignità venga calpestata da assurde richieste di risarcimento, mandate da chi li ha uccisi. Non lo permetto. Mi chiedo come un uomo se si può chiamare uomo, abbia il coraggio di alzarsi la mattina e di specchiarsi con quattro morti che pendono soprala sua testa. E' una cosa che mi fa venire i brividi solo a pensarci, mi chiedo se ha un cuore o al suo posto una pietra. Vorrei che lui sapesse che la vita di quattro persone vale molto più' diqualsiasi cifra che lui chiede. Ma il peggio di tutto è che è ancora libero e che lo stato Italiano gli permette di fare queste cose.

Chiedo inoltre di poter incontrare il Presidente della Repubblica per poter parlare personalmente con lui. Io non mi arrenderò e non permetterò più che la memoria di mio fratello e delle altre vittime venga calpestata, sono esseri umani morti per lavorare, non per divertimento. Finché avrò vita li difenderò; di sicuro non mi limiterò a fare fiaccolate, ma cercherò di fermare chi ancora una volta vuole calpestare i lavoratori di Italia. Basta prendersela con Giuseppe Coletti e le altre vittime della Umbria Olii.

Lorena Coletti

martedì 28 luglio 2009

Eternit, strage a processo



A Torino il 22 luglio si è chiusa l'udienza preliminare del processo Eternit. Il gup Cristina Palmesino ha deciso per il rinvio a giudizio dei due imputati: il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis De Cartier De Marchienne, proprietari in epoche diverse dell'industria di lavorazione d'amianto. Grande soddisfazione per i familiari delle vittime che dopo anni di lotta vedono aprirsi le porte del processo. La prima udienza è fissata per il 10 dicembre 2009.

Il video è realizzato dalla redazione torinese di PandoraTv
Angelo Artuffo, Ilaria Leccardi, Mauro Ravarino

domenica 26 luglio 2009

Amianto, nuove indagini a Torino

Malattie da amianto nel mirino di Raffaele Guariniello. Il magistrato torinese, che in settimana ha ottenuto il rinvio a giudizio dei vertici della Eternit per le migliaia di lavoratori vittime dell'asbesto, sta indagando anche sulla morte sospetta di 27 insegnanti.

L'amianto, fino a pochi anni fa molto utilizzato nella costruzione degli edifici scolastici, potrebbe infatti essere la causa scatenante del mesotelioma della pleura che li ha uccisi. Per il momento si tratta soltanto di un'ipotesi investigativa, supportata però dai dati raccolti dall'osservatorio torinese dei tumori professionali. Una struttura all'avanguardia, creata dallo stesso Guariniello all'inizio degli anni Novanta, dove vengono analizzati i tumori riscontrati in tutto il Piemonte.

Osservando gli ultimi dati, grazie all'ausilio dei propri consulenti, Guariniello si è accorto che negli ultimi 6-7 anni ben 27 insegnanti sono morti di asbesto, la stessa malattia per cui i vertici Eternit dovranno rispondere dei reati di disastro doloso e rimozione volontaria di cautele contro gli infortuni. Coincidenza o altro? "E' presto per rispondere", fa sapere Guariniello, che ha chiesto all'osservatorio di approfondire la conoscenza dei 27 casi.

lancio di agenzia Ansa del 25 luglio 2009

venerdì 24 luglio 2009

Il processo all'Eternit si farà


TORINO - Quando il gup Cristina Palmesino legge l'ordinanza di rinvio a giudizio per i due imputati dell'inchiesta Eternit, un applauso e un abbraccio sciolgono tutta la tensione accumulata in questi mesi d'attesa. Dovremmo dire anni - almeno trenta - di aspettative, lotte, dolore e speranza per la gente di Casale Monferrato, che ha patito questa tragedia. Almeno 1400 i morti nella cittadina piemontese. A cui si aggiungono i casi di Cavagnolo nel torinese, Ruviera in Emilia e Bagnoli in Campania. Una lunga catena di morti e malati: sono 3 mila in tutto quelli conteggiati nel capo d'accusa.

Il processo ai vertici Eternit si farà e inizierà il 10 dicembre prossimo. Sul banco degli imputati ci sono il barone belga Jean Loui De Cartier De Marchienne e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, che dopo aver trafficato nella lavorazione della fibra cancerogena è stato rappresentante dell'Onu per lo sviluppo sostenibile. Non sono dirigenti di secondo piano, ma i più potenti signori dell'amianto a livello internazionale: accusati entrambi di disastro doloso (reato che prevede fino a 12 anni di reclusione) e rimozione volontaria di cautele (fino a 5 anni). Non solo avrebbero causato il «disastro», ma non avrebbero nemmeno svolto azioni per prevenirlo né per limitarlo.

Il gup ha respinto tutte le obiezioni della difesa e ha accolto in toto le richieste della Procura di Torino, formulate al termine della maxi inchiesta coordinata dal pm, Raffaele Guariniello, che a caldo ha commentato: «E' stata scritta una pagina importante della tormentata storia dell'amianto in Italia e nel mondo». Un passo storico. Lo dicono un po' tutti, perché da nessuna parte, neanche in Francia, si è riusciti a intraprendere un processo così importante per numero di casi trattati e per il ruolo dei dirigenti coinvolti, la testa di un sistema. Al pm torinese risponde l'avvocato Astolfo Di Amato, che guida il pool di difesa di Schmidheiny: «L'amianto - ha detto - fa parte della storia industriale e sociale, e in tribunale si giudicano gli uomini, non la storia. Il processo non va caricato di significati extra giuridici, come per esempio la responsabilità sociale degli imputati».

Quello del giudice Palmesino è stato un provvedimento lungo e dettagliato. Poteva essere - come spesso succede - un rinvio generico e sintetico, invece, si è rivelato il contrario. Il gup ha voluto sottolineare come i reati contestati (che partono dal 1952) non possano essere prescritti. Un'affermazione chiara: «Il disastro è ancora in atto». Scrive nel documento: «Il disastro si sta ancora manifestando, provocando nuove malattie, sia negli ex lavoratori, sia nei cittadini che vivono in prossimità degli ex stabilimenti Eternit, o nei luoghi in cui è in uso materiale derivato dalla lavorazione dell'amianto». Inoltre «il materiale derivante dalla lavorazione utilizzato per costruzione, pavimentazione e coibentazione è ancora attualmente in uso nei siti».

Commosso, all'uscita del Tribunale, Bruno Pesce, leader del Comitato vertenza Amianto: «Dopo anni si restituisce dignità alle vittime. Sappiamo che gli scogli più grossi devono ancora arrivare, ma quella di oggi è una tappa importante». La sua è una lunga lotta, iniziata sul finire degli anni Settanta e sempre accompagnata da una forte partecipazione sociale. Ieri, erano in 140 i casalesi in aula. Sono quelli che, con altre 550 fra persone fisiche ed enti territoriali, si sono costituiti parte civile. Tra loro c'è chi lavorava all'Eternit, chi ha contratto l'asbestosi, chi in quella fabbrica non ci ha mai messo piede, chi ha perso il padre, il marito, la moglie o il fratello. Tutti portavano un adesivo giallo con scritto «Strage Eternit: giustizia». Nei corridoi, dopo la notizia, sorrisi, lacrime e felicità. Finalmente vittime e parenti vedono aprirsi una porta di speranza. Troppe volte la loro ansia di giustizia è stata delusa. Escono dal Palagiustizia e commentano la decisione del gup con poche ma significative parole: «Siamo felici». Lo dice, per tutti, una donna con gli occhi lucidi. Qualcuno fa la «V» di vittoria, con l'indice e il medio della mano destra. Altri si sfogano: Pietro ha 63 anni e racconta di quando lavorava all'Eternit: «Scaricavamo l'amianto blu, il più pericoloso. Di trenta che erano con me, siamo sopravvissuti in due. E adesso quella gente là deve andare in galera». A mezzogiorno ritornano a Casale, la città della fabbrica del cancro, il maledetto mesotelioma. Ma anche la città che ha messo in atto la più grande bonifica (non certo per opera dell'azienda che i suoi rifiuti li ha lasciati lì dove stavano). Presto, in via Oggero dove sorgeva il grande stabilimento dovrebbe nascere un parco. Si chiamerà «Eternot». Un nome che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Sergio Bonetto è l'avvocato di parte civile. Insieme a Pesce, alla pasionaria Romana Blasotti Pavesi, a Nicola Pondrano (segretario della Camera del lavoro di Casale), è uno dei protagonisti di questa storia. Da anni difende le vittime. «Adesso inizia un processo storico, che potrebbe essere d'esempio per tanti altri. Auspichiamo sia partecipato. Vorremmo, infatti, coinvolgere gli avvocati dei paesi europei, perché quello dell'amianto è un problema che va oltre i confini». I numeri fanno spavento: nelle previsioni, nei prossimi decenni i morti nel vecchio continente potrebbero raggiungere la cifra di duecentomila.

Mauro Ravarino
da il manifesto del 23 luglio

martedì 21 luglio 2009

Ma la strage continua anche a Palermo

Dopo gli incidenti della Toscana, questa mattina anche la Sicilia è stata nuovamente colpita dall'ennesima morte sul lavoro. La vittima è Francesco Vitiello, rimasto schiacciato da un trattore per lo scarico dei container al porto di Palermo. Vitiello era impegnato nelle operazioni di smistamento merci da una nave Snav, proveniente da Napoli e appena arrivata nel porto siciliano.

Dopo l'incidente i lavoratori portali della Sicilia hanno deciso uno sciopero di 24 ore: "Le condizioni di sicurezza sono precarie, un solo lavoratore all'interno delle navi rispetto ai tre del passato, svolge queste mansioni - ha spiegato all'agenzia Adnkronos Nino Napoli segretario Fit Cisl Portuali - Da tempo segnaliamo queste carenze, ma rimaniamo inascoltati". Le segreterie regionali di categoria hanno indetto 24 ore di sciopero per i lavoratori portuali, mentre i marittimi ritarderanno di un'ora le partenze di tutte le navi.