mercoledì 6 luglio 2011

Il pm Raffaele Guariniello chiede vent'anni di reclusione per i vertici Eternit

L'articolo di Massimiliano Francia, da Il Monferrato del 4 luglio 2011, sulla richiesta di condanna chiesta dal pm Raffaele Guariniello nel processo contro i vertici dell'Eternit in corso a Torino.

Vent’anni di reclusione per ciascuno dei due imputati: questa la condanna appena chiesta dal pm Raffaele Guariniello al termine della lunga, appassionata requisitoria del pool dell’accusa al maxiprocesso Eternit. Dodici anni la pena massima prevista dal reato contestato, il disastro doloso, aggravata dalla continuazione: per i vertici Eternit, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis de Cartier, l’accusa principale è infatti di disastro doloso permanente per la diffusione dell’amianto.

Enorme l’inchiesta sul disastro causato da Eternit condotta da Guariniello con i magistrati Sara Panelli e Gianfranco Colace, per individuare i due responsabili della strage: lo svizzero Stephan Schmidheiny che ha governato la multinazionale della morte dal 1972 al fallimento e il barone belga Louis de Cartier de la Marchienne, che secondo l’accusa diresse l’Eternit a partire dal 1966 e fino a quando all’inizio degli anni Settanta subentrarono gli svizzeri. Furono loro – è la tesi dell’accusa – gli amministratori di fatto, i veri responsabili, coloro che facevano le scelte fondamentali che potevano influire e - di fatto - influirono, negativamente, sulla qualità dell’ambiente di lavoro e dell’ambiente di vita nei territorio in cui insistevano gli stabilimenti dell’Eternit al fine di prevenire malattie e infortuni.
Loro che adottarono una serie di condotte delittuose perpetrate nonostante la consapevolezza che avrebbero causato quella strage; circa tremila tra morti e malati, un numero enorme a cui occorre aggiungere un’altra dolorosa parola: finora! Perché il disastro non ha ancora finito di dispiegare i suoi drammatici effetti. Loro che fecero le scelte che hanno esposto i lavoratori, i quali si trovarono a svolgere le loro mansioni direttamente a contatto con la fibra killer, mettendo le mani nell’amianto blu per buttarlo nelle tramogge degli impasti - per fare solo un esempio - senza cautele e protezioni adeguate. Perché all’Eternit scarseggiavano persino le mascherine... Loro che hanno messo a rischio la vita e salute dei cittadini diffondendo materiali pericolosi - senza badare alle conseguenze - in cortili, asili, oratori, ovunque. Loro che hanno messo a rischio le mogli che lavavano le tute, a rischio i figli tenuti in grembo dalle mamme per allattarli, quando rientravano di corsa con il grembiule sporco d’amianto perché l’azienda non prevedeva alcun servizio lavanderia e i lavoratori rientravano a casa pieni di polvere.

Una responsabilità che non è cessata nemmeno con il fallimento perché a causa del grave, diffuso, doloso inquinamento causato in una intera città e in un intero territorio continua ancora adesso il pericolo causato decine di anni fa dai comportamenti delittuosi, secondo l’accusa, mantenuti con pervicacia e perseveranza fino all’ultimo. Non solo, ma con la consapevolezza del dolo gli imputati hanno operato con lo scopo di manipolare l’informazione, di ritardare la diffusione delle conoscenze scientifiche con strutture appositamente attrezzate e dedicate (il centro del dottor Robock a Neuss e lo studio di pr di Bellodi a Milano) e che sono costate milioni e milioni di euro. Stessa richiesta di pena perché in realtà secondo la Procura la gestione fu sempre condivisa, al di là di assetti societari che sono di fatto insondabili: una galassia di mille società in cui formalmente si può perdere la testa ma di fatto comandavano persone ben individuate.

Vent’anni di carcere più le pene accessorie: «interdizione perpetua dai pubblici uffici, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni tre anni, interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giudiriche delle imprese per la durata complessiva di anni dieci», ha scandito il pm Guariniello concludendo la propria richiesta. Soddisfazione al termine dell’udienza espressa da Romana Blasotti Pavesi, presidente della Associazione familiari vittime dell’amianto di Casale, cinque lutti in famiglia a causa dell’amianto, simbolo di una lotta che dura da trent’anni: «È una inchiesta condotta non solo con il intelligenza ma anche con il cuore. Credo che i familiari delle vittime possano essere soddisfatti».

di Massimiliano Francia

mercoledì 25 maggio 2011

Processo Montedison. Spuntano le foto choc
Gli operai lavoravano tra tonnellate di amianto


Da La Gazzetta di Mantova del 24 maggio 2011
un articolo di Giancarlo Oliani

MANTOVA. Colpo di scena al processo Montedison davanti al tribunale di Mantova. L'accusa, con una mossa che ha sorpreso tutti, ha presentato in aula "prove schiaccianti" sull'esposizione all'amianto a cui erano sottoposti gli operai del petrolchimico. Si tratta di una documentazione fotografica eccezionale, che si riferisce proprio agli anni (dal 1972 al 1989) in cui i dodici ex manager, oggi imputati, avrebbero causato la morte di 72 operai. Il tutto attraverso il puntuale e scioccante resoconto del dottor Paolo Ricci: "Il pericolo è stato sottovalutato".

E' stato proprio Paolo Ricci, attuale responsabile dell'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Mantova, ma all'epoca tecnico appena assunto, ad assestare un durissimo colpo alla difesa che alle prime battute dell'udienza aveva cercato, ma con scarso successo, di controbattere alle tesi scientifiche del perito Merler sugli effetti cancerogeni della sostanza. Obiettivo dei legali della difesa dimostrare la scoperta tardiva di quel pericolo e quindi la non responsabilità dell'azienda.

Ma la testimonianza di Ricci, nella sua duplice veste di testimone e ufficiale di polizia giudiziaria, ha dimostrato l'esatto contrario. Ricci ha spazzato via, in un sol colpo, molti di quei dubbi sui quali i difensori di Montedison avevano puntato, in particolare sulla carenza o la mancanza di documentazione.

Il racconto di Ricci davanti ai giudici. «Sono stato assunto dall'Asl il 19 settembre del 1988 - ha detto in aula - e pochi mesi dopo, il 24 febbraio 1989, ho effettuato il primo sopralluogo alla Montedipe, dov'era stato demolito un impianto per la produzione dello stirene. Era la prima volta che succedeva. Un atto di disobbedienza nei confronti della direzione dell'Asl che per anni aveva gestito i controlli in termini negoziali. Trovai un'area con materiale di decoibentazione che poteva contenere amianto. Raccolsi un campione del materiale e un laboratorio di Verona mi confermò la presenza della sostanza».

«Il responsabile della sicurezza interna mi disse che era impossibile e che in azienda non c'era amianto, aggiungendo: ma lo sanno i suoi superiori che lei è qui? Ebbene furono trovati 300 quintali di materiale contenente amianto che veniva movimentato con mezzi meccanici, sollevando le pericolose polveri di cui anche i dipendenti si erano lamentati. C'era da affrontare una situazione d'emergenza. Diffidammo l'azienda a sgombrare subito l'area, bagnando le macerie e chiedemmo una mappatura delle coibentazioni».

Nei mesi successivi furono trovati anche altri 300 sacchi contenenti lo stesso materiale di decoibentazione. Furono sequestrati e l'allora manager finì a processo poi caduto in prescrizione. Ma l'amianto era ovunque e le foto lo dimostrano. Dal 1992 al 2006 furono asportati un milione e 195mila chili di materiale: la metà (quasi 600 tonnellate, ndr) era amianto.

Ma la mazzata finale di Ricci è arrivata quando gli è stato chiesto di rispondere alle domande nella sua qualità di ufficiale giudiziario. Ha raccontato della perquisizione e del sequestro effettuati il 5 aprile del 2001. Tutte le attività del laboratorio ricerche dell'azienda ora sono contenute in un floppy disk e per quanto concerne la manutenzione pochi i documenti trovati, conservati nei locali di via Chiassi. Il resto riguarda soltanto atti amministrativi. L'intera documentazione è stata esaminata e scremata.

Ricci era riuscito ad ottenere anche il censimento dell'amianto con relativa planimetria dall'Enichem che era subentrata a Montedison. Le conoscenze sull'amianto, in quel periodo c'erano. Eccome. Ricci ha raccontato in aula d'aver eseguito uno studio per conto della procura di Firenze, sulle Grandi Officine delle Ferrovie dello Stato. Ebbene già nei primi anni Ottanta avevano preso delle precauzioni con ambienti dedicati per la bonifica della sostanza nociva. Cosa che invece non è avvenuta in Montedison. «C'era quindi un sistema - ha chiesto il pm Giulio Tamburini - per la rimozione sicura dell'amianto?». «Certo. Bastava uno spazio dedicato, la protezione degli addetti, acqua e vinavil».

giovedì 21 aprile 2011

Per Vittorio

Avrei voluto poterti stringere e dirti grazie, toccata dalla tua anima gentile, divertita dalla tua "r" moscia, ispirata. Come lo rimarrò. Perché tu prendevi per braccio i bambini di Gaza e regalavi sorrisi, mani forti, speranze. Il mio è un pensiero intimo, per te che oltre al sogno hai avuto il coraggio.
Grazie Vittorio.





Il mio pensiero si unisce a queste splendide parole, dedicate a te da Ibrahim Nasrallah

A Vittorio Arrigoni

Hanno ucciso tutti
Hanno ucciso tutti
hanno ucciso tutti i minareti
e le dolci campane
uccise le pianure e la spiaggia snella
ucciso l’amore e i destrieri tutti, hanno ucciso il nitrito.
Per te sia buono il mattino.
Non ti hanno conosciuto
non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
e bellezza di un tralcio sulla porta del giorno
e delicato stillare di corda
e canto di fiumi, di fiori e di amore bello.
Per te sia buono il mattino.
Non hanno conosciuto un paese che vola su ala di farfalla
e il richiamo di una coppia di uccelli all’alba lontana
e una bambina triste
per un sogno semplice e buono
che un caccia ha scaraventato nella terra dell’impossibile.
Per te sia buono il mattino.
No, loro non hanno amato la terra che tu hai amato
intontiti da alberi e ruscelli sopra gli alberi
non hanno visto i fiori sopravvissuti al bombardamento
che gioiosi traboccano e svettano come palme.
Non hanno conosciuto Gerusalemme … la Galilea
nei loro cuori non c’è appuntamento con un’onda e una poesia
con i soli di dio nell’uva di Hebron,
non sono innamorati degli alberi con cui tu hai parlato
non hanno conosciuto la luna che tu hai abbracciato
non hanno custodito la speranza che tu hai accarezzato
la loro notte non si espone al sole
alla nobile gioia.
Che cosa diremo a questo sole che attraversa i nostri nomi?
Che cosa diremo al nostro mare?
Che cosa diremo a noi stessi? Ai nostri piccoli?
Alla nostra lunga dura notte?
Dormi! Tutta questa morte basta
a farli morire tutti di vergogna e di sconcezza.
Dormi bel bambino.

domenica 10 aprile 2011

Se a teatro piove amianto

La mia città, Alessandria, e una vicenda dolorosa che riguarda la salute, la cultura, i lavoratori, la bassa battaglia politica, la dignità di una popolazione, raccontata dall'amico Mauro Ravarino.

Una nube, tanta polvere e quattromila persone in platea. È amianto. Lo scoprirà l’Asl e farà chiudere a tempo indeterminato il teatro di Alessandria. Le fibre si sono diffuse nella sala grande dopo una “bonifica” dell’impianto di riscaldamento. La decisione dell’intervento, assegnato senza gara d’appalto, fu presa in un cda contestato (forse senza numero legale), ora indagato insieme ai vertici della ditta esecutrice (la Switch 1988). In mezzo, un intreccio da spy story con verbali che scompaiono e riappaiono oscurati e uno scontro durissimo tra maggioranza di centrodestra e opposizione.


La polvere spuntava dappertutto. Sui braccioli delle sedie, dietro le quinte e vicino al sipario. E poi c’era quella strana nebbiolina bianca, poco rassicurante. Più in là era collocato il cantiere, affidato dalla fondazione Teatro Regionale Alessandrino (abbreviata in Tra) alla Switch 1988, per la bonifica dell’impianto di riscaldamento. Quello con l’amianto (mappa di platea e interrato).

«I responsabili ci dicevano di stare tranquilli che erano solo calcinacci. Niente di grave», raccontano i tecnici del teatro di Alessandria. «Niente fibre pericolose». Ma qualcosa nei lavori, probabilmente, era andato storto: «E non ce lo dicevano». Mancava poco alla rassegna Precipitevolissimevolmente, meno di un giorno. Dal 23 al 26 settembre dello scorso anno, sarebbero saliti sul palco Lella Costa, Paolo Rossi, Yo Yo Mundi, Erri De Luca e Gianmaria Testa. E quattromila persone si sarebbero sedute in platea. Nonostante gli allarmi, il teatro (prima la Sala grande con 1200 posti, poi le altre due: Ferrero e Zandrino) verrà chiuso precauzionalmente dall’Asl solo il 2 ottobre. Nel pomeriggio agli orchestrali del concorso Pittaluga, impegnati nelle prove, era capitata una disavventura: la polvere era piovuta dal soffitto sulle giacche e sulle teste dei musicisti, trasferiti di gran lena in duomo. Una «nube d’amianto», scopriranno qualche giorno dopo le analisi della Asl: un livello di 16,3 fibre/litro di amianto nei luoghi maggiormente frequentati del teatro (nel precedente sondaggio quantitativo era risultato un tasso di fibre di polvere del 66,7% sul totale, rispetto al 20% consentito). [Continua]

di Mauro Ravarino da Linkiesta, 8 aprile 2011

lunedì 29 novembre 2010

L'amianto che uccide
A Milano continua la lotta per le "White"

Scende la prima neve a Milano quando lasciamo la casa di Elena, zona Famagosta, a sud della città. Lasciamo lei, i suoi figli, il suo compagno, gatti e cane. I racconti no, non li lasciamo, così come le lotte, ce le porteremo dietro a lungo, facendone tesoro. Scende la prima neve in questo freddo e povero 2010, neve bianca, come il colore di quell'incubo in cui Elena Ferrarese e la sua famiglia hanno vissuto dal 1984. Le White, le chiamavano. Le case bianche, "anche se dentro non c'era nessun presidente...". Bianche di amianto, con tutti quei pannelli a ricoprirne la superficie. Solo il tetto, al contrario di molti altri casi, non conteneva la sostanza killer.

"Quando ci hanno detto che quella diventava la nostra casa, avrebbe dovuto trattarsi di una situazione provvisoria, una sorta di casa parcheggio, per tre o quattro anni", racconta Elena. "Invece siamo stati lì fino a pochi mesi fa. La mia è stata l'ultima famiglia a uscirne, a luglio di quest'anno. Negli ultimi tempi era diventato qualcosa di invivibile: perdite d'acqua, allagamenti, crolli, topi... topi enormi".

Era il 1984 quando il Comune di Milano assegna quegli appartamenti di edilizia popolare, in via Feltrinelli 16, zona Rogoredo, a famiglie provenienti da case di piazzale Dateo e corso Lodi, oppure da sfratti esecutivi in varie zone della città. Ma ben presto gli abitanti si rendono conto della pericolosità della loro "gabbia bianca" e di quei pannelli, che in tutto all'interno contengono 3 tonnellate di amianto. "La prima volta che abbiamo visto quella casa, bianchissima, non sapevamo cosa pensare. Ci sembrava un ospedale o, meglio, un manicomio. Oppure un carcere...". Strano credere che nel 1984, quando il pericolo dell'amianto era già noto da tempo - e solo due anni prima della chiusura dell'Eternit in Italia - si potesse costruire una casa ricoprendola interamente di questa sostanza assassina.

Gli inquilini se ne sono resi presto conto. Nel 1986 hanno fondato un comitato per seguire il problema amianto. Quindi sono arrivate le prime morti, tante, troppe. Come quella di Giammarco, che se n'è andato nel 2003, a soli 26 anni, a causa di tre tumori che gli hanno consumato la vita. Una vita che l'ha abbandonato proprio nel giorno del compleanno della sua mamma. E poi gli impegni per la bonifica, mai rispettati. Doveva partire anni fa, l'ultima promessa era per l'estate del 2009, ma in realtà la casa è ancora lì, svuotata definitivamente dalle famiglie nel luglio scorso. E ora, che quei pannelli ormai grigi sono vuoti e silenziosi da quattro mesi, ancora nessun lavoro è iniziato. Qui in visita erano venute pure il sindaco Moratti e il ministro Prestigiacomo, seguite da grandi scorte. Tante promesse, ma nulla è stato fatto.

Quelle 152 famiglie, con i loro morti e le loro malattie, non hanno mai smesso di battersi. Perché la vita là dentro non era semplice, anzi, pericolosa, per via di questo spettro che ogni giorno le accompagnava. Eppure si era creata un'unione, una corrispondenza di intenti, una combattività difficile da smontare, anche se oggi quelle famiglie sono state divise, riassegnate in case sparse per la città. "Qui, nel complesso dove viviamo noi, avrebbero potuto metterci in molti", ci fa notare Elena, "ci sono un sacco di appartamenti vuoti, che non vengono assegnati".

Oggi c'è ancora molto da fare. C'è la lotta da portare avanti, c'è la via processuale difficile da intraprendere, c'è l'idea di ritrovarsi con altri comitati, altre situazioni simili e altrettanto dolorose, c'è la voglia di non mollare, anche se le forze a volte iniziano a mancare. Ci sono le malattie da sconfiggere e la paura per i figli. Il grido una madre che piange di terrore ogni volta che il suo ragazzo sente anche solo un lieve mal di testa. Ma Elena e la sua famiglia ci hanno insegnato molto. Ci hanno insegnato che, anche se la vita pubblica, e soprattutto chi la amministra, a volte sembra prenderti in giro, si può comunque guardare avanti, senza arrendersi.

Ilaria Leccardi

mercoledì 27 ottobre 2010

Solvay, il 14 dicembre al via il processo

Il 14 dicembre partirà il processo contro la Solvay Solexis/Arkema per l'inquinamento del polo chimico di Spinetta Marengo, emerso nel 2008 con la dispersione nella falda acquifera di cromo esavalente.

Gli imputati sono 38. I capi d'accusa sono avvelenamento doloso e dolosa mancata bonifica. L'associazione Medicina Democratica, insieme a un centinaio di residenti della Fraschetta ed ex dipendenti della Solvay che in questi anni hanno riportato danni fisici e psicologici, si costituirà parte civile, per ottenere risarcimenti.

Secondo l'associazione, la Solvay sarebbe stata sempre a conoscenza della presenza nel sottosuolo di sostanze inquinanti. Chi vuole presentarsi come parte civile al processo, può contattare Medicina Democratica al numero 3470182679. La Solvay non ha ritenuto necessario commentare l'iniziativa di Medicina Democratica.

dal sito di RadioGold

martedì 26 ottobre 2010

Le intimidazioni non piegano la lotta

Riportiamo il comunicato stampa dell'Associazione Voci della Memoria, in seguito al vile attacco intimidatorio a Marta, lavoratrice precaria del Teatro di Alessandria, in questi giorni al centro di una drammatica storia di contaminazione di amianto.

L’Associazione Culturale Voci della Memoria di Casale Monferrato deve suo malgrado occuparsi di cronaca nera, è la prima volta che capita ma non ci esimiamo dal farlo.

Venerdì 22 ottobre siamo stati ospiti di un interessante e partecipato dibattito pubblico presso il Laboratorio Sociale di via Piave 65 ad Alessandria, dibattito condotto da una lavoratrice precaria del Teatro Comunale di Alessandria coinvolto nella triste vicenda delle altissime concentrazioni di polveri d’amianto riscontrate dall’ASL che ha portato alla chiusura del Teatro stesso in attesa di bonifica, Marta, e che fra gli ospiti ha visto oltre a noi molti lavoratori del Teatro Comunale Alessandrino, Romana Blasotti Pavesi Presidente dell’Associazione Famigliari Vittime Amianto di Casale Monferrato e Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto.

Nella serata si sono poste le basi per la costituzione di un Comitato Alessandrino Contro l’Amianto e molte persone presenti in sala hanno deciso di intervenire il giorno successivo alla fiera Ambiente e Ambienti che si teneva presso la Cittadella in Alessandria al fine di volantinare e sensibilizzare una volta di più l’opinione
pubblica.

Da quanto ci è dato sapere, purtroppo non dagli organi di stampa, all’arrivo dei pacifici manifestati alcuni individui li avrebbero prima provocati e poi aggrediti, in particolare Marta (la lavoratrice precaria sopraccitata) è dovuta ricorrere alle cure del pronto soccorso in Alessandria dove le sono stati dati quattro giorni di prognosi dai medici.

L’Associazione Voci della Memoria, fiduciosa nel lavoro della magistratura inquirente che ha raccolto stamane la denuncia effettuata dall’aggredita, vuole testimoniare a Marta e a tutti i manifestanti ieri presenti la propria solidarietà a fronte della vigliacca aggressione subita perché rei di chiedere Verità e Giustizia sui fatti del Teatro Comunale di Alessandria e di manifestare il proprio dissenso sulla gestione della vicenda, l’Associazione intende altresì ribadire la propria vicinanza a tutti i cittadini (4000!) che hanno frequentato le sale quando già erano contaminate ed ai lavoratori per più giorni esposti, mettendosi a loro disposizione per ogni eventuale iniziativa nelle prossime settimane.

La violenza non potrà fermare mai la sete di Giustizia e la ricerca di Verità dei cittadini, tantomeno di quelli che hanno buona Memoria e ogni giorno cercano di condividerla con più persone possibili.

Associazione Voci della Memoria, Casale Monferrato