lunedì 26 gennaio 2009

Bolivia: approvata la nuova Costituzione
Trionfa il popolo indigeno

Quando il presidente boliviano Evo Morales ha gridato dal balcone del Palacio Quemado "¡Patria o muerte!”, una moltitudine di persone da Piazza Murillo, in pieno centro a La Paz, ha risposto: "¡Venceremos!".

Un'ovazione ha prolungato le ultime parole del presidente. Poi i fuochi artificiali hanno cominciato a risplendere nel cielo di La Paz, dove la gente, nonostante il buio e il freddo, si è riunita per festeggiare il trionfo del referendum che ha approvato la nuova Costituzione Politica dello Stato. Il 60% della popolazione ha detto sì.

Le bandiere boliviane e le whipalas multicolore (le tipiche bandiere che rappresentano le nazioni indigene) sventolavano mentre dal balcone Morales e il suo gabinetto salutavano e partecipavano ai festeggiamenti durati fino a notte inoltrata.

Dopo un processo in cui i movimenti indigeni e contadini sono stati protagonisti, e che l'opposizione boliviana ha ostacolato fino ad arrivare al massacro nel dipartimento del Pando, costato la vita a 20 persone, la scorsa domenica il voto dei cittadini e delle cittadine ha sostenuto i cambiamenti che sta vivendo il paese.

"Dal 2005 al 2009 andiamo di trionfo in trionfo. I neoliberali, venditori di patria, sono stati sconfitti grazie alla coscienza del popolo boliviano", ha detto Morales dalla Casa del Governo.

Con queste parole il capo di Stato ha riassunto una storia iniziata a metà degli anni 2000 con il trionfo del Movimento al Socialismo (Mas), ma partita anni indietro con le ribellioni nelle città di El Alto, la Guerra dell'Acqua e il richiamo storico dei movimenti contadini e indigeni.

Nel suo discorso Morales ha riaffermato la scelta del governo di non rispondere agli attacchi dell'opposizione e ha chiamato prefetti, sindaci, cittadini e dirigenti sindacali affinché vengano applicate nell'immediato le autonomie contemplate dalla Costituzione.

"Voglio che sappiate che qui è finito lo stato coloniale, è morto il colonialismo interno e straniero", ha continuato ancora Morales.

Alcuni minuti prima del discorso del Presidente gli osservatori internazionali hanno segnalato la trasparenza della giornata elettorale, annullando le denunce di fronde lanciate da prefetti e politici oppositori. Salvo alcuni piccoli contrattempi, la votazione si è svolta con normalità e tranquillità.

La Carta Magna approvata ha 411 articoli discussi e approvati attraverso un'Assemblea Costituente con partecipanti eletti da voti popolari. La nuova Costituzione stabilisce uno Stato plurinazionale, orientato all'integrazione indigena, in cui si riconoscono i 36 popoli indigeni esistenti in Bolivia. Un altro punto fondamentale del testo approvato è l'ampliamento dei diritti dei cittadini con un modello di democrazia partacipativa.

"Qui inizia la nuova Bolivia, l'eguaglianza e la riconquista della dignità del popolo boliviano", ha concluso Morales.

Nella notte fredda di La Paz, il calore della realtà è stato più forte. Dopo decenni di resistenza, dolori, speranza, l'umano ha vinto contro la negligenza dei governi passati, durante i quali le decisioni erano prese da minoranze che avevano più ammirazione verso il nord del continente americano che non verso il proprio popolo.

Libera traduzione da Agencia Bolivariana de Noticias

sabato 10 gennaio 2009

Attacco a Gaza. Israele sta sperimentando armi non convenzionali

Israele sta sperimentando nuove armi non convenzionali contro la popolazione civile di Gaza. E' la denuncia del New Weapons Research Committee, secondo il quale "si sta ripetendo nella Striscia ciò che è già avvenuto in Libano nel 2006, quando lo stato ebraico utilizzò nel conflitto contro l'organizzazione sciita Hezbollah il fosforo bianco, il Dense inert metal explosive (Dime) e gli ordigni termobarici, tre tipologie di strumenti di offesa riconoscibili per le caratteristiche delle ferite che provocano, nonché le bombe a grappolo e i proiettili all'uranio, che hanno lasciato tuttora sul terreno nel Paese dei cedri tracce di radioattività e ordigni inesplosi".

Si moltiplicano le evidenze dell'impiego di queste armi ora anche nella Striscia di Gaza anche se, precisa il NWRC, a causa del blocco degli ingressi ancora non sono state possibili verifiche dirette indipendenti. "Le immagini e le testimonianze che giungono dal conflitto - spiega Paola Manduca, professoressa di genetica dell'università di Genova e membro del NWRC - presentano significative somiglianze con quelle raccolte e verificate nella guerra di luglio e agosto 2006 in Libano". Mads Gilbert, medico norvegese dell'organizzazione non governativa Norwac, attualmente al lavoro nell'ospedale Shifa, il maggiore di Gaza, segnala che "molti arrivano con amputazioni estreme, con entrambe le gambe spappolate"; ferite, spiega, "che io sospetto siano ferite da armi Dime". Non solo, ma anche le immagini che arrivano da Gaza sembrano confermare i sospetti. Le ustioni riportate da alcuni bambini a Gaza, appaiono molto simili a quelle evidenziate nel 2006 dal dottor Hibraim Faraj, chirurgo dell'ospedale di Tiro e dal dottor Bachir Cham di Sidone. "Attualmente - sottolinea Manduca - ci arrivano report da medici e da testimoni informati che ci fanno ritenere che, oltre alle armi usate nel 2006, ulteriori nuove armi siano sperimentate oggi a Gaza. Questo rende necessario che ulteriori indagini scientifiche e tecniche siano intraprese".

In questi due anni il NWRC ha realizzato verifiche scientifiche con tecniche di istologia, microscopia elettronica a scansione e chimiche su biopsie da vittime della guerra del 2006 e insieme a dottori libanesi e palestinesi, ha raccolto casistica clinica e documentazione dalle quali emerge che bombe termobariche, Dime e armi a intensità subletale mirate sono state usate nelle guerre del 2006 in Libano, mentre Dime e armi mirate subletali sono state impiegate a Gaza. NWRC ha presentato una relazione di questo lavoro al Human Rights Council delle Nazioni unite, al Tribunale del popolo sui crimini della guerra in Libano ed è stato ascoltato dalla Commisione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito del Senato. Inoltre ha collaborato con scienziati internazionali che hanno identificato l'uso di bombe a penetrazione con uranio, arricchito e impoverito, in Libano.

NWRC è una commissione indipendente di scienziati basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree dove vengono utilizzate. Gli scopi della sua attività sono: ottenere prova delle armi usate; determinare i rischi a lungo termine su individui e popolazioni anche dopo la fine del conflitto; imparare a curare e proteggere i sopravvissuti attraverso indagini cliniche e predittive.

COMUNICATO STAMPA newweapons

giovedì 18 dicembre 2008

Continua la battaglia di Salvatore Palumbo

A maggio era salito sulla stele che ricorda la strage di Capaci, lungo l'autostrada Palermo-Mazara del Vallo. Lunedì 15 dicembre ha montato una tenda davanti al tribunale di Palermo per urlare contro l'ingiustizia del suo licenziamento. Oggi Salvatore Palumbo ha scelto i binari della stazione per gridare ancora più forte. Si è incatenato, insieme con la moglie e i tre figli, chiedendo il reintegro a Fincantieri, l'azienda che nell'agosto 2007 lo aveva lasciato a casa, senza stipendio e con una famiglia da mantenere. Solo l'intervento delle forze dell'ordine, che hanno tranciato le catene, ha permesso di liberare i binari e far riprendere la normale circolazione dei mezzi.

Ma Palumbo non si arrenderà. Lotta contro quella che definisce un'ingiustizia, un licenziamento che Fincantieri giustifica dicendo di averlo sorpreso a pescare durante il turno di notte. Eppure già da tempo in azienda la sua posizione era diventata scomoda. Perché lui sul posto di lavoro aveva sempre avuto una sensibilità particolare per il tema della sicurezza, a tal punto da diventare "fastidioso". Ora da quasi un anno e mezzo lotta per la sua riassunzione, ma i suoi ricorsi sono stati finora respinti dal tribunale del lavoro. Adesso è Natale e non parliamo di regali, lui non sa dove trovare i soldi per dare da mangiare ai suoi figli. Lo scorso 6 dicembre era salito fino a Torino, in occasione della manifestazione a un anno dalla strage della Thyssen, per raccontare la sua storia. Ora spera che qualcuno sia disposto ad ascoltarla, lui di sicuro farà di tutto perché ciò avvenga.

martedì 9 dicembre 2008

Altre 5 vittime nella guerra del lavoro
La testimonianza da Dalmine

Una nuova strage, un nuovo nero bollettino di guerra. Nella giornata quasi conclusa sono 5 i morti sul lavoro in tutta Italia, dal Nord al Sud, senza distinzioni. Dalmine (Bergamo), Torretta di Galliavola (Pavia), Santa Giustina (Belluno), Amatrice (Rieti), San Pallegrino (Bergamo). Questi i luoghi dei decessi.

Riportiamo il comunicato diffuso dallo Slai Cobas sulla morte di Sergio Riva, 20 anni, alla Tenaris di Dalmine.

Un altro assassinio programmato e annunciato alla Tenaris Dalmine di Bergamo. Si tratta di un giovane operaio interinale di 20 anni da quasi 1 anno in fabbrica. E' successo alle 1.30 di questa notte nel reparto fas espander (tubi di grosso diamentro), quando una squadra ridotta di operai stava attrezzando una macchina dell'impianto che doveva iniziare a produrre alle 6 sul primo turno. Lo Slai Cobas Dalmine, dopo aver verificato la dinamica con gli operai del reparto, si riserva di presentare nei prossimi giorni un esposto alla procura Affinché si faccia luce sull'accaduto.
Ribadiamo con forza che quanto successo non è una fatalità, come sembra già circolare nelle note interne dell'azienda, ma il frutto della corsa alla produzione a tutti i costi. Produzione che è aumentata enormemente in questi anni, fino a raggiungere i record pubblicizzati dalla stessa Tenaris Dalmine.
I profitti top intascati da padron Rocca in questi anni non sono caduti dal cielo ma sono stati ottenuti spremendo al massimo gli impianti con recuperi produttivi, festività lavorate, flessibilità della turnistica, saturazione delle 8 ore di lavoro. Il tutto garantito dallo sfruttamento e dalla condizione di ricatto per gli operai nei reparti, in particolare per quelli precari, costretti a lavorare in qualsiasi condizione per sperare di essere confermati. Ad esempio, è norma che questi giovani operai facciano 48 ore alla settimana, in quanto i capi turno "chiedono" il salto del riposo settimanale previsto dal contratto.
Situazione ancora più accentuata in questo periodo in cui la Dalmine, utilizzando il tema della "crisi", ha annunciato che la maggioranza degli operai interinali non saranno confermati nei prossimi mesi. Questo ha scatenato una guerra tra "poveri" per l'accaparramento dei pochi posti di lavoro.
Slai Cobas Dalmine per il sindacato di classe. Coordinatore provincia di Bergamo, Sabastiano Lamera

sabato 6 dicembre 2008

A un anno dalla Thyssen
Contro tutte le stragi

Il freddo pungente, le Alpi innevate, il dolore e la voglia di continuare a lottare, hanno accompagnato questa mattina il corteo di 5mila persone che a Torino dai cancelli della Thyssen (corso Regina Margherita) è arrivato fino alle porte del Palazzo di Giustizia.

C'erano i familiari delle vittime della strage del 6 dicembre 2007 e i loro compagni di fabbrica. C'era la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro. C'era Francesca Caliolo, moglie di Antonio Mingolla, una delle troppe vittime dell'Ilva di Taranto, la fabbrica assassina. C'erano Dante De Angelis, ferroviere, e Salvatore Palumbo, operaio alla Fincantieri Palermo, entrambi licenziati per aver denunciato le condizioni di insicurezza nei rispettivi luoghi di lavoro. C'erano gli studenti, compagni di Vito Scafidi, morto nel crollo del soffitto della sua scuola di Rivoli mentre faceva lezione. C'era l'associazione dei parenti delle vittime dell'Eternit. E molti altri ancora.

Non certo il fiume che era visto un anno fa, subito dopo la strage, e che aveva invaso le vie del centro cittadino. Ma una solida base disposta a continuare la lotta per la dignità e la sicurezza, per il lavoro e la giustizia.

martedì 11 novembre 2008

Contro le stragi del lavoro
Il 6 dicembre manifestazione nazionale
dai cancelli della ThyssenKrupp di Torino

Il 6 dicembre di un anno fa un rogo sprigionatosi all’interno dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino faceva strage di 7 operai. Sette vite bruciate e sette famiglie lasciate nella disperazione.

Forte furono la commozione e l’eco in tutto il Paese. Le massime autorità dello Stato dichiararono che avrebbero fatto l’impossibile affinché stragi come quella di Torino non fossero più avvenute.

Spenti i riflettori dei mass-media, la questione della sicurezza sul lavoro è sparita dall’agenda politica di governi e parlamenti, sostituita da quella della “sicurezza” nelle città, della psicosi dell’immigrato stupratore, rapinatore, pirata della strada.

La strage di Torino non è stata la prima né l’ultima: i circa 4 morti al giorno nei luoghi di lavoro dovrebbero suonare come uno schiaffo per ogni società che si definisca “civile”. Ma in Italia non solo si continuano a varare provvedimenti insufficienti, soprattutto dal punto di vista delle azioni di contrasto e di sanzione nei confronti delle aziende, come da quello dei poteri e delle agibilità degli RLS e degli ispettori INPS o INAIL (come il nuovo Testo Unico, Legge 81/2008), ma si affiancano leggi e decreti come quello sulla detassazione degli straordinari (Legge 126/24 del luglio 2008), quello sulla deregolamentazione del mercato del lavoro (Legge 133 del 5 agosto 2008), la direttiva del Ministero del Lavoro che indebolisce i servizi ispettivi del ministero stesso e dell’INPS (settembre 2008), e, ultimo, il ddl 1441 quater, attualmente in discussione alla Camera, che vorrebbe sterilizzare i processi e legare le mani ai giudici del lavoro.

Il segnale è chiaro: da un parte si continuano a garantire condizione di massima redditività delle aziende, dall’altra si aumenta la precarietà, si allunga l’orario di lavoro, si controllano meno le violazioni di sicurezza, diminuendo la tutela della salute e dell’incolumità del lavoratore, così come di chi vive in città o quartieri vicini ad impianti industriali.

Siamo stanchi di restare a guardare, spettatori/vittime di una macabra rappresentazione che coinvolge tutti noi.

Il 6 dicembre saremo a Torino e sfileremo dalla Thyssenkrupp (9.30) al Palagiustizia non solo per ricordare i nostri 7 compagni di lavoro morti nel rogo di un anno, reclamando giustizia in un processo che sta per entrare nel vivo, ma per ricordare tutti i lavoratori e le lavoratrici che ogni giorno perdono la vita o subiscono gravi infermità perché qualcuno, per arricchirsi sempre di più, li fa lavorare sempre di più, sempre più velocemente e in condizioni sempre più insicure.

Il processo Thyssen è giunto a un grande risultato, senza precedenti nella storia della giurisprudenza italiana: i lavoratori vengono ammessi dal Gup come parte lesa e quindi riconosciuti come parte civile in un processo contro i sei dirigenti della multinazionale tedesca per il rischio che hanno occorso a lavorare in un’azienda (peraltro già chiusa), così come purtroppo ha colpito i nostri cari sette compagni in quella tragica notte. Ma sappiamo che questo non basta: siamo coscienti che sarà impossibile invertire questo drammatico corso di sangue e di morte (una “guerra” che fa più vittime della guerra in Iraq o delle guerre di mafia) solo se riusciremo ad affermare un punto di vista: salvaguardare la salute, la sicurezza nei luoghi di lavoro e fare sempre e comunque gli interessi delle lavoratrici/ori scegliendo fino in fondo e senza ambiguità da che parte stare, dalla nostra parte, con orgoglio e dignità, quella di chi lavora.

Per questo facciamo appello a tutte le organizzazioni sindacali, alle associazioni dei familiari, ai medici e ai giuristi sinceramente democratici, agli ispettori del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, ai giornalisti coscienziosi, ai giovani e agli studenti che in queste settimane stanno difendendo il loro futuro, a partecipare e a sostenere questa manifestazione. Perché se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno al nostro posto.

Torino il 6 dicembre 2008 – Manifestazione con concentramento di fronte allo stabilimento ThyssenKrupp, Corso Regina Margherita 400, ore 09.30

Associazione LEGAMI D’ACCIAIO (ex-operai ThyssenKrupp)
RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

sabato 1 novembre 2008

Processo Tricom. Il cromo che uccide.
Assemblea e presidio contro l'archiviazione

"Nel paese in cui vivo, la morte di mio padre per cancro era scontata: lavorava alla TRICOM!!!Chiunque poteva ammalarsi, nessuno utilizzava guanti, mascherine non c'erano sistemi di protezione... Oltre al cromo esavalente e al nichel sono stati trovati ben sette tipi di cianuro, piombo, soda, e composti, acido cianurico... L'intera area lavorativa era un bagno di cromo esavalente, l'operaio camminava in una fanghiglia, il pavimento in cemento era stato corroso e i veleni sono filtrati nel terreno inquinando persino le falde acquifere. Risultavano esserci state delle ispezioni da parte dell'USL. Ogni volta nei verbali segnalavano carenze, ma la copertura politica ha permesso di ovviare... TUTTI SAPEVANO MA NESSUNO PARLAVA."

(Dal libro "Morti bianche" di Samanta Persio - luglio 2008).

Contro l'archiviazione del procedimento penale (promosso dai familiari di alcuni operai deceduti per cancro al polmone) per la causa di morte dei lavoratori della TRICOM GALVANICA di Tezze sul Brenta, in corso presso il Tribunale di Bassano del Grappa (Vi): presidio pubblico il 21 novembre 2008 davanti al Tribunale di Bassano del Grappa .

Per preparare la mobilitazione e fare il punto della situazione è convocata una assemblea pubblica giovedì 6 novembre 2008 alle 21 presso la sala Nord, Piano terra del Vecchio Municipio di Tezze sul Brenta.

Interverranno l'avvocato PATRIZIA SADOCCO, consulente legale della causa Tricom; il professore ANGELO LEVIS e il dottor DARIO MIEDICO, consulenti di parte; il senatore FELICE CASSON