mercoledì 25 maggio 2011

Processo Montedison. Spuntano le foto choc
Gli operai lavoravano tra tonnellate di amianto


Da La Gazzetta di Mantova del 24 maggio 2011
un articolo di Giancarlo Oliani

MANTOVA. Colpo di scena al processo Montedison davanti al tribunale di Mantova. L'accusa, con una mossa che ha sorpreso tutti, ha presentato in aula "prove schiaccianti" sull'esposizione all'amianto a cui erano sottoposti gli operai del petrolchimico. Si tratta di una documentazione fotografica eccezionale, che si riferisce proprio agli anni (dal 1972 al 1989) in cui i dodici ex manager, oggi imputati, avrebbero causato la morte di 72 operai. Il tutto attraverso il puntuale e scioccante resoconto del dottor Paolo Ricci: "Il pericolo è stato sottovalutato".

E' stato proprio Paolo Ricci, attuale responsabile dell'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Mantova, ma all'epoca tecnico appena assunto, ad assestare un durissimo colpo alla difesa che alle prime battute dell'udienza aveva cercato, ma con scarso successo, di controbattere alle tesi scientifiche del perito Merler sugli effetti cancerogeni della sostanza. Obiettivo dei legali della difesa dimostrare la scoperta tardiva di quel pericolo e quindi la non responsabilità dell'azienda.

Ma la testimonianza di Ricci, nella sua duplice veste di testimone e ufficiale di polizia giudiziaria, ha dimostrato l'esatto contrario. Ricci ha spazzato via, in un sol colpo, molti di quei dubbi sui quali i difensori di Montedison avevano puntato, in particolare sulla carenza o la mancanza di documentazione.

Il racconto di Ricci davanti ai giudici. «Sono stato assunto dall'Asl il 19 settembre del 1988 - ha detto in aula - e pochi mesi dopo, il 24 febbraio 1989, ho effettuato il primo sopralluogo alla Montedipe, dov'era stato demolito un impianto per la produzione dello stirene. Era la prima volta che succedeva. Un atto di disobbedienza nei confronti della direzione dell'Asl che per anni aveva gestito i controlli in termini negoziali. Trovai un'area con materiale di decoibentazione che poteva contenere amianto. Raccolsi un campione del materiale e un laboratorio di Verona mi confermò la presenza della sostanza».

«Il responsabile della sicurezza interna mi disse che era impossibile e che in azienda non c'era amianto, aggiungendo: ma lo sanno i suoi superiori che lei è qui? Ebbene furono trovati 300 quintali di materiale contenente amianto che veniva movimentato con mezzi meccanici, sollevando le pericolose polveri di cui anche i dipendenti si erano lamentati. C'era da affrontare una situazione d'emergenza. Diffidammo l'azienda a sgombrare subito l'area, bagnando le macerie e chiedemmo una mappatura delle coibentazioni».

Nei mesi successivi furono trovati anche altri 300 sacchi contenenti lo stesso materiale di decoibentazione. Furono sequestrati e l'allora manager finì a processo poi caduto in prescrizione. Ma l'amianto era ovunque e le foto lo dimostrano. Dal 1992 al 2006 furono asportati un milione e 195mila chili di materiale: la metà (quasi 600 tonnellate, ndr) era amianto.

Ma la mazzata finale di Ricci è arrivata quando gli è stato chiesto di rispondere alle domande nella sua qualità di ufficiale giudiziario. Ha raccontato della perquisizione e del sequestro effettuati il 5 aprile del 2001. Tutte le attività del laboratorio ricerche dell'azienda ora sono contenute in un floppy disk e per quanto concerne la manutenzione pochi i documenti trovati, conservati nei locali di via Chiassi. Il resto riguarda soltanto atti amministrativi. L'intera documentazione è stata esaminata e scremata.

Ricci era riuscito ad ottenere anche il censimento dell'amianto con relativa planimetria dall'Enichem che era subentrata a Montedison. Le conoscenze sull'amianto, in quel periodo c'erano. Eccome. Ricci ha raccontato in aula d'aver eseguito uno studio per conto della procura di Firenze, sulle Grandi Officine delle Ferrovie dello Stato. Ebbene già nei primi anni Ottanta avevano preso delle precauzioni con ambienti dedicati per la bonifica della sostanza nociva. Cosa che invece non è avvenuta in Montedison. «C'era quindi un sistema - ha chiesto il pm Giulio Tamburini - per la rimozione sicura dell'amianto?». «Certo. Bastava uno spazio dedicato, la protezione degli addetti, acqua e vinavil».

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