martedì 4 giugno 2013

Eternit, la strage continua: processo Torino esempio per mondo

Torino 4 giu. (LaPresse) - Quella dell'amianto è una strage silenziosa. Una strage che ha trovato voce nella lotta e nella costanza delle famiglie e degli ex operai della fabbrica della morte, quella Eternit che a Casale Monferrato sorgeva a pochi passi dal Po. Ma il disastro è tutt'altro che solo italiano, planetario si può dire. La penisola, per una volta, vanta il primato di essere avanti rispetto al resto del mondo in quanto a procedimenti giudiziari. Ci sono Paesi che lottano per riuscire a portare in tribunale i responsabili della strage, altri che si battono per far sì che l'amianto non venga più lavorato, ben consapevoli della sua pericolosità. Altri ancora che muovono i primi passi anche solo per sensibilizzare gli operai e la cittadinanza, luoghi dove si fa fatica a mangiare e una copertura in Eternit può diventare salvezza in un giorno di pioggia. In India l'amianto si lavora senza clamori, in America latina è vietato solo in Argentina, Uruguay, Cile, Honduras e alcuni Stati del Brasile. Si estrae ancora in grandissime quantità, e non senza danni, in Russia e Canada.

A testimoniare l'importanza globale del processo che si è tenuto ieri a Torino c'erano delegazioni da tutta Europa, ma anche avvocati e giornalisti, che hanno seguito da vicino lo svolgersi del processo.

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lunedì 3 giugno 2013

Eternit, 18 anni di carcere a magnate Schmidheiny per strage amianto. Maxirisarcimento a Casale

Torino, 3 giu. (LaPresse) - "Questa sentenza è un inno alla vita, è un sogno che si avvera. Spero che serva a tutelare la vita e la salute, sia nei luoghi di lavoro che fuori". Così, soddisfatto, il sostituto procuratore di Torino Raffaele Guariniello ha commentato a caldo la sentenza di secondo grado del processo Eternit, che ha visto riconoscere oggi 18 anni di carcere all'imputato, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, l'unico rimasto dopo la morte poche settimane fa a 92 anni del barone belga Louis De Cartier De Marchienne. In primo grado i due erano stati condannati alla pena di 16 anni di reclusione.

SENTENZA RIFORMATA. Grande la soddisfazione dei familiari delle vittime, nonostante le differenze tra la sentenza di primo e secondo grado, non tutte positive dal punto di vista delle parti lese. Cresce la pena carceraria di due anni, poiché il reato di disastro doloso permanente viene riconosciuto anche per i siti di Rubiera e Bagnoli, oltre che Casale Monferrato e Cavagnolo. Ma diminuisce il numero delle parti civili risarcite. Inoltre, la sentenza non riconosce infatti il reato di omissione dolosa di misure di sicurezza all'interno degli stabilimenti. Per quanto riguarda De Cartier, il giudice Alberto Oggè ha dichiarato il "non doversi procedere", vista la morte, e in ogni caso, secondo la Corte, il barone non avrebbe commesso il fatto prima del 1966.

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