giovedì 24 aprile 2008

Tav Bologna Firenze:
tra le viscere della montagna



Fino al 2006 gli infortuni erano 3842. Sette i morti legati alle attività di cantiere. Tre le vittime di incidenti stradali avvenuti nel tragitto tra casa e posto di lavoro. È questo il bilancio di quasi dieci anni di lavori nei cantieri Tav tra Bologna e Firenze. Un progetto presentato come il fiore all’occhiello dalla Tav spa, che dovrebbe permettere ai treni di viaggiare come proiettili, attraversando le viscere della montagna, e rendere l’Italia un paese più moderno, per molti più civilizzato. Più probabilmente un’inutile macina di dolore.

«Oggi stiamo entrando nella delicata fase di dismissione del cantiere – afferma Valentino Minarelli, segretario della Fillea-Cgil dell’Emilia Romagna –. Una fase pericolosa, come quella iniziale di allestimento, in cui alle ditte che hanno condotto i lavori di scavo e costruzione se ne aggiungono altre in subappalto, che forniscono un lavoro precario e meno regolamentato. Una delle prime cause di infortunio in questi casi è il movimento dei mezzi di trasporto nei piazzali. Quando non c’è un coordinamento aumenta il rischio che il personale venga investito. I report sulla sicurezza dimostrano che nello stadio iniziale i picchi di infortuni sono alti, mentre scendono negli anni successivi. E per quest’ultima fase, purtroppo, si può prevedere un innalzamento del numero di incidenti».

Per tutta la durata dei lavori è stato possibile, grazie all’impegno delle regioni Toscana ed Emilia Romagna, dei sindacati e delle imprese, un monitoraggio sugli infortuni e l’approvazione di una serie di norme di sicurezza nei cantieri, tra cui l’utilizzo di un cartellino che garantisce un controllo sugli spostamenti e le presenze dei lavoratori. Questo ha ridotto gli incidenti, soprattutto nella fase centrale della lavorazione, quando il numero delle imprese è limitato e il controllo è maggiore. Ma non è bastato.

Alla base della grande quantità di infortuni ci sono anche le condizioni disagevoli di lavoro che aumentano la disattenzione e lo stress dei lavoratori. Prima di tutto i turni. Sulla linea Bologna-Firenze è stato adottato un sistema a ciclo continuo con lo schema 6+1; 6+2; 6+3, dove il 6 sta per giorni di lavoro, con turni di otto ore (6-14, 14-22 e 22-6) che si succedono l’uno all’altro, e 1, 2 e 3 sono i giorni di riposo. «Bisogna considerare che la maggior parte degli operai e dei minatori proviene da regioni lontane, dalla lontana Calabria al profondo nord – commenta Girolamo Dell’Olio, presidente di Idra, associazione ambientalista toscana, da tempo vicina ai lavoratori nei cantieri Tav -. L’orologio biologico dell’organismo viene stravolto. Il tempo per tornare in famiglia è poco e nel nostro conteggio delle vittime abbiamo inserito anche chi ha perso la vita per strada, nei lunghi e stancanti viaggi cantiere-casa e ritorno. Inoltre per tutto il periodo lavorativo gli operai sono stati costretti a vivere in campi base isolati da ogni centro abitato e spesso, invece di utilizzare il giorno di pausa per riposarsi, hanno finito per fare straordinari illegali, molto difficili da documentare».

Ci sono poi l’insalubrità dell’ambiente di lavoro, un terreno impervio, argilloso, difficile da trattare, il pericolo degli scavi in galleria che aumenta in presenza di grisù, le squadre di lavoro ridotte, l’isolamento. «Una delle cose che mi ha fatto più impressione – continua Dell’Olio – è la voglia di contatto che hanno questi operai. Ogni volta che siamo andati a manifestare contro i lavori loro provavano a comunicare con noi, si facevano fotografare, cercavano amicizia, anche se in realtà la nostra azione puntava a bloccare gli scavi e quindi avrebbe danneggiato nell’immediato anche loro. Certo apprezzavano quello che noi chiedevamo e chiediamo: lavoro e ferrovie là dove loro abitano, nelle regioni prive di ogni servizio da cui sono costretti a emigrare».

La fine dei lavori sulla Bologna-Firenze (annunciata in principio per il 2002-2003) è prevista adesso per l’autunno del 2009 e l’entrata in funzione delle linee per il 2010. Ma tra le mille difficoltà di costruzione e gli errori di progettazione rimane un grave problema irrisolto: la mancanza di una galleria di soccorso nel tratto appenninico tra Vaglia e Bologna. «L’ultima galleria in direzione Firenze è divisa in due subtratte – spiega Dell’Olio –. Una lunga 11 km, approvata nel ’98, è completa di galleria di soccorso parallela. L’altra, di 60 km con poche e brevi uscite all’aperto, approvata nel ’95, ne è invece sprovvista. Si tratta di un tunnel monotubo, in cui treni viaggeranno in direzioni opposte a più di 250 km orari. In caso di incidente, l’unico modo per prestare soccorso sarebbe usare le finestre intermedie poste a 6 o 7 chilometri di distanza una dall’altra. Troppo poco per garantire la sicurezza».

I Vigili del Fuoco di Firenze hanno espresso perplessità sulle effettive possibilità di prestare soccorso in una simile situazione. Allo stesso modo si è espresso il professor Aurelio Misiti, ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, oggi nelle liste dell’Italia dei Valori, che - in una conferenza nazionale a Roma cui è stata invitata anche l’associazione Idra - ha confermato le mancanze progettuali della tratta in tema di sicurezza, ipotizzando un termine dei lavori ben oltre il 2009. Tutto questo va di pari passo con le logiche del sistema dei general contractor per la gestione dei cantieri. La Bologna-Firenze è stata affidata al general contractor Fiat che, come altri grandi gruppi affidatari, assegna ad altre ditte la progettazione e l’esecuzione (in questo caso il consorzio Cavet, che riunisce imprese fra le più quotate del nostro Paese, da Impregilo alla Cmc-Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna). L’architettura contrattuale e finanziaria però è tale che il general contractor risulta affidatario di una concessione di progettazione e costruzione delle opere, pagate interamente da Tav spa, senza però avere responsabilità sulla gestione. Questo determina una situazione paradossale che porta a prolungare il più possibile i lavori e a definire progetti sempre più costosi. Le vittime di una situazione in cui il concessionario non è impegnato a recuperare l’investimento fatto attraverso una buona gestione sono la qualità dell’opera e, ancor prima, i lavoratori.

Ilaria Leccardi da Cenerentola

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Ilaria, ho linkato il tuo articolo al mio sito. Non potevo fare altrimenti, appena tornato dal Mugello... Un abbraccio randagio.