La marcia non si ferma. Il primo viaggio per l’Italia della Rete per la sicurezza nei posti di lavoro è arrivato a Roma, ma è già pronto a ripartire. A settembre, la Rete lancerà, infatti, uno sciopero rivolto a tutte le categorie. In piazza Barberini, venerdì 20 giugno, si è ritrovato un mondo che si batte per un lavoro più sicuro: operai e migranti insieme per una battaglia di diritti e giustizia.
Sotto la sede del ministero del Welfare si è svolta un’assemblea pubblica a cui hanno partecipato lavoratori provenienti da tutta Italia: dalla Thyssen di Torino all’Ilva di Taranto, dal petrolchimico di Marghera ai cantieri navali di Palermo, passando per il porto di Ravenna e la Dalmine di Bergamo. Tutte realtà in “emergenza”, che ormai quasi da un anno hanno dato vita alla Rete. Nel suo viaggio per la penisola, iniziato lo scorso marzo, la carovana per la sicurezza ha raccolto diverse proposte per integrare il testo unico, «che non va toccato come vuole fare Berlusconi, ma migliorato e applicato». Ed è sulle sanzioni che gli organizzatori premono di più: «I gravi incidenti non sono “contravvenzioni” ma devono essere qualificati come “delitti” – sottolinea Giuseppe Gaglio dell’Istituto Tumori di Milano – e devono essere estesi i reati di omicidio colposo e volontario, così come Guariniello ha ipotizzato per la Thyssen».
Una delegazione è stata ricevuta dal ministro Sacconi, tra le richieste: maggiori risorse per gli ispettorati del lavoro, riconoscimento degli infortuni invalidanti, diritto di cittadinanza per i migranti e più tutele per le donne, che più di altri patiscono gli stress della precarietà. La questione di genere è, infatti, uno dei temi più sentiti dal movimento: «Le donne – spiega Donatella Anello dello Slai Cobas di Palermo - sono tra le principali vittime della precarietà, che talvolta porta a gravi conseguenze sull’apparato riproduttivo, con disturbi mestruali e rischi per la maternità”.
In piazza Barberini c’erano anche le donne migranti che lo scorso 8 marzo con Action “A” hanno dato vita all’occupazione di uno stabile in via Lucio Sestio a Roma. Ventuno donne e 13 bambini che stanno recuperando la struttura dove abitano e dove si tengono corsi di ceramica e di italiano. Tutte hanno lunghe esperienze di lavoro non regolare: «E’ una presa in giro - racconta Milly dal Perù - sembra che oltre al “nero” non ci sia altro e, quindi, non si hanno molte scelte quando alla fine del mese uno deve pagare l’affitto». Serkalem, etiope, dopo anni di «nero» finalmente è stata assunta in una ditta. Infine, Rita, peruviana con due bambini di 6 e 7 anni, fa un paragone con la Spagna: «Vi ho vissuto e lì non c’era questa disuguaglianza tra uno stipendio di una donna e quello di un uomo, in Italia noi prendiamo la metà».
Mauro Ravarino
sabato 28 giugno 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento