martedì 2 settembre 2008

Palermo, il porto dell'incertezza


Sono arrivati a impiegare migliaia di persone. Oggi a malapena danno lavoro a 500 operai. Sono i Cantieri navali di Palermo, di proprietà di Fincantieri, il colosso mondiale della costruzione navale che conta nove stabilimenti in tutta Italia e in Germania.

Stando agli ultimi dati di bilancio e all’utile dichiarato, Fincantieri, azienda di proprietà pubblica e controllata dal Ministero del Tesoro, gode di ottima salute, riceve commesse da tutto il mondo e ha tra i suoi clienti importanti operatori marittimi, tra cui Costa Crociere e Princess. Eppure dal porto di Palermo arrivano notizie ben diverse. Sarà perché la situazione complessiva del porto siciliano è da anni incerta, sarà perché l’azienda di proprietà statale ha modificato i suoi piani industriali a favore degli altri centri cantieristici, resta il fatto che per i lavoratori palermitani non esiste certezza sul futuro.

«Sono tre anni che a Palermo non si costruiscono più navi intere, ma solo parti di esse – spiega Damiano Gambino, rls della Fiom Cgil nel cantieri navali palermitani – e questo è un grande deficit perché il ruolo di Palermo all’interno di Fincantieri è stato drasticamente ridimensionato. Inoltre, siamo un cantiere arretrato, abbiamo macchinari obsoleti e non utilizziamo tecnologie avanzate, come ormai avviene negli altri stabilimenti della nostra azienda».

Ma sul destino del cantiere navale di Palermo pesano anche le scelte riguardanti il futuro di tutto il porto siciliano, la sua trasformazione e la bonifica delle aree costiere, considerando anche la nomina di Palermo a Capitale dell’Euromediterraneo per il 2010. «Ci troviamo fisicamente tra due fuochi – continua Gambino –. Da una parte abbiamo l’edificio dismesso dell’ex Manifattura Tabacchi, dove un ditta privata dovrebbe costruire un centro alberghiero, dall’altra abbiamo il porto che dovrebbe allargarsi in previsione di diventare un porto turistico a tutti gli effetti. Anche per questo il nostro futuro è incerto. Nel 1992, quando ho iniziato a lavorare eravamo più di 1700 operai, oggi siamo appena 523, siamo sottodimensionati. Ma non siamo solo noi operai di Fincantieri a soffrire della crisi. È tutto l’indotto a esserne colpito».

Per i prossimi tre anni è stata commissionata a Fincantieri la costruzione di venti navi, ma nessuna di queste sarà realizzata a Palermo, nonostante qui esista uno dei più grandi bacini d’Italia, da ben 400mila tonnellate. «Quartieri di Palermo e famiglie intere vivono grazie al nostro stabilimento – conclude Gambino – in città e dintorni è l’unica importante realtà industriale. C’è ancora la Fiat Termini Imerese, certo, ma dista 40 chilometri dalla città. Viviamo una situazione molto difficile».

Un’incertezza sul futuro accresciuta lo scorso anno dalla decisione dell’amministrazione di privatizzare e quotare in Borsa il 49% dell’impresa, una scelta approvata dal governo Prodi. Le proteste degli operai sono state forti in tutta Italia, anche a Palermo. L’appuntamento per l’entrata in Borsa era fissato per la primavera, ma la crisi dell’esecutivo ha bloccato tutto, lasciando la situazione in sospeso.

Poi c’è il solito spinoso tema della sicurezza sul posto di lavoro, dei pericoli che si corrono per portare a casa lo stipendio. Quello nei cantieri navali è uno dei lavori classificati come più logoranti, soprattutto per la fatica fisica che implica. Un lavoro che d’estate si svolge spesso a una temperatura superiore ai 40°, che richiede protezioni in pelle su tutto il corpo e che, durante le fasi di saldatura, rinchiude gli operai all’interno di strutture di lamiera incandescenti.

Per quanto riguarda il rischio incidenti, secondo i sindacalisti della Fiom la situazione rispetto al passato è migliorata. La tragedia della Thyssen sembra aver reso più attenti anche i vertici aziendali che si sono mobilitati per far rispettare maggiormente i parametri di sicurezza, con normative interne che regolano la condotta del lavoro. Eppure c’è chi ancora denuncia gravi mancanze. «Ci sono fotografie e filmati fatti da operai che documentano situazioni molto pericolose all’interno del cantiere – spiega Rosario Sciortina, dello Slai Cobas di Palermo –. Ad esempio ci sono infiltrazioni d’acqua dal muro di contenimento del mare, oppure perdite d’acqua dove si lavora con la tensione a 400 Volt». E c’è anche chi perde il lavoro, apparentemente per futili motivi. Salvatore Palumbo era un operaio della Fincantieri, sposato, papà di tre figli. Nell’estate scorsa è stato licenziato perché, sostiene l'azienda, sorpreso a pescare in orario di lavoro. Ma non era vero. Salvatore, dopo mesi senza lavoro, è arrivato al limite della sopportazione. Il 14 maggio è salito in cima alla stele che ricorda la strage di Capaci, lungo l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, minacciando il suicidio. La motivazione alla base del licenziamento non sarebbe altro che un modo per coprire le sue ripetute denunce delle condizioni di insicurezza lavorativa all’interno del cantiere.

Ilaria Leccardi da Cenerentola

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