sabato 7 febbraio 2009

Vi presento il Veneto giallo
Viaggio tra i mostri ecologici del vicentino


Una volta era l’ombelico del Veneto bianco, dove la Democrazia Cristiana, alle elezioni, prendeva quasi la totalità dei voti. Oggi è diventato l’ombelico del Veneto giallo. Ma i partiti non c’entrano, almeno non direttamente. Il giallo è il colore del cromo, dello zinco, del nichel, dei materiali che infestano il terreno e hanno inquinato la falda acquifera.

Il triangolo vicentino che unisce i comuni di Rosà, Tezze sul Brenta e Rossano Veneto e che ha al centro il piccolo paesino di San Pietro. Ognuno con la sua industria inquinante, il suo mostro che ha contribuito all’agonia di una zona di acque minerali, per alcuni un tempo le più buone d’Italia.

A Rosà il mostro si chiama Orlandi Ov, industria chimica di solventi, chiusa nel 2005 dopo esser passata dal vecchio proprietario, la famiglia Orlandi, alla ditta milanese Bitolea, e da allora lasciata in stato di abbandono. L’accertamento dell’inquinamento delle falde acquifere sottostanti l’azienda da parte dell’Arpav (l’Azienda regionale per la prevenzione e la protezione ambientale del Veneto) ha portato al sequestro dello stabile nell’agosto scorso da parte del tribunale di Bassano del Grappa. Al suo interno sono state trovate decine di vasche e serbatoi per solventi corrosi.

A Rossano il mostro si chiama Plastimec, un’ex galvanica, chiusa da anni, sotto la quale nel giugno 2007 è stata riscontrata la contaminazione da nichel e cromo esavalente. E poi ci sono i mostri di Tezze e San Pietro, i peggiori forse, la Galvanica Pm, ex Tricom, e la Zincheria Valbrenta. Aziende con storie diverse, contro la cui produzione di inquinamento la popolazione si è mossa con comitati e per vie legali, senza trovare però il sostegno delle procure.

Il caso della Tricom viene alla luce nel 2002, grazie a una cittadina, Gabriella Milani. “Nel novembre 2001 la mia famiglia ha cambiato casa spostandosi dalla zona industriale in cui viveva prima – spiega –. Ma ben presto nella nuova abitazione, dopo aver fatto la doccia, io, mio marito e le nostre due figlie abbiamo iniziato ad avere problemi fisici: forte mal di testa, prurito, macchie rosse in tutto il corpo, perdita dei capelli. Così a marzo 2002 abbiamo chiesto un controllo sul nostro pozzo, l’acquedotto era infatti sigillato e l’acqua doveva provenire da lì”.

Nell’acqua della famiglia Milani vengono trovati 170 milligrammi di cromo esavalente al litro, a fronte di un limite consentito di 5. Dopo una lunga ricerca nella zona, si accerta che la responsabile dell’inquinamento è la Gal-vanica Pm, contro cui nel-l’aprile 2003 inizia il processo.

“La mia famiglia si è costituita parte civile – continua la Milani –. Ma dopo 8 mesi dall’inizio, la vigilia di Natale del 2003, la Galvanica Pm ha dichiarato il fallimento. È stata una manovra per aggirare il processo e arrivare all’archiviazione. Quando dopo tre anni e mezzo e trentatré sedute è arrivata la sentenza, la nostra delusione è stata enorme”.

Si calcola che i danni ambientali provocati dalla galvanica di Tezze siano di quasi 160 milioni di euro, ma nessuno pagherà niente per via del fallimento. “Inoltre – conclude la Milani – il responsabile della Galvanica Pm, Paolo Zampierin, è stato condannato a due anni e mezzo di carcere che, per via dell’indulto, non sconterà mai. Pur avendolo chiesto, non siamo mai stati ascoltati dal giudice in tribunale. Siamo entrati nel processo come parte offesa e ne siamo usciti bastonati”.

La famiglia Milani non ha visto e non vedrà alcun risarcimento per ciò che ha subito. Intanto Gabriella è già stata operata due volte di tumore e la sua famiglia è costretta a sottoporsi a controlli continui. Apparizioni in prima serata a Report e Racconti di Vita, interventi su stampa ed emittenti locali hanno reso celebre l’episodio della famiglia Milani e posto l’attenzione sull’industria, contro cui già dagli anni ’70 pendono accuse di inquinamento, e all’interno della quale diversi dipendenti hanno contratto tumori sospetti. Proprio di questo aspetto si occupa il Comitato di Tezze sul Brenta per la difesa del diritto alla salute. Una ventina i tumori in tutto tra gli operai, di cui 14, come attestano alcune perizie, riconducibili al lavoro in azienda.

“A livello processuale la situazione è ferma – spiega Luciano Orio, presidente del Comitato – perché pm e gip del Tribunale di Bassano del Grappa continuano a rimpallarsi l’un l’altro la decisione sul processo, se rinviare a giudizio gli indagati o archiviare”. L’ultimo rinvio, il terzo, risale al 21 novembre. Ora tutto è in mano al pm, ma i tempi sembrano allungarsi e il rischio è che il reato cada in prescrizione. “Il pm vuole chiedere l’archiviazione basandosi su una perizia secondo cui i tumori sarebbero dovuti solo all’abuso di sigarette – spiega Emanuele Bonin, responsabile del Comitato –. Ma una perizia che abbiamo presentato noi dimostra che i morti in quella fabbrica erano tre volte superiori alla media nazionale e a quella del Veneto”.

Oltre ai morti e alle acque inquinate, a Tezze succedono cose che hanno dell’incredibile. Proprio vicino al pozzo dei Milani, ad esempio, sono state trovate margherite dalle forme strane, con un unico gambo e con le corolle unite una all’altra, come gemelli siamesi. “Dopo la nostra segnalazione – spiega ancora la Milani – ogni settimana l’Arpav veniva a controllare il pozzo. Prima di iniziare l’analisi doveva far scorrere per un’ora l’acqua contaminata che cadeva in un punto del prato. Proprio lì sono cresciuti gli strani fiori che poi sono stati analizzati in varie università”. Inoltre ci sono i racconti, confermati, delle ossa dei corpi sepolti al cimitero ritrovate gialle a causa del cromo nel terreno, e così la pelle delle gambe dei bambini che giocavano a calcio in una zona dove venivano scaricati fanghi contaminati.

Infine c’è una storia che, se possibile, ha ancora più dell’assurdo. Basta spostarsi di pochi metri da Tezze, meno di 12mila abitanti, e arrivare a San Pietro di Rosà, 1200 anime. Una storia che inizia nel 1990 quando la società Zincheria Valbrenta acquista un terreno agricolo in paese nella cosiddetta area PIP49, zona tra l’altro interessata da un sito archeologico, per spostare un’attività già esi-stente, ampliandola a dismisura. Venendo a conoscenza del progetto di costruzione di un “mostro ecologico”, la popolazione prova a opporsi, ma il Comune non demorde e dà l’ok ai lavori che partono nel giugno 2002. Il paese, già organizzato in comitato, decide di dar vita a un presidio di fronte al cantiere, in piedi ancora oggi.

“La nostra lotta è nata come atto di indignazione della cittadinanza contro lo spostamento in paese di un’attività insalubre a ridosso delle abitazioni del paese – spiega Daniele Pasinato vicepresidente del Presidio - Durante la fase di costruzione alcuni abitanti hanno notato camion che scaricavano materiale nel cantiere, a una decina di metri di profondità, che poi si è rivelato essere inquinante. Inoltre, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, abbiamo visto fuoriuscire dal terreno vicino alla zincheria una schiuma bianca e gelatinosa. Si trattava di acrilammide, una sostanza tossica e mutagena”.

“Il Tribunale di Bassano ha archiviato tutti i procedimenti - continua Pasinato -, non ha dato seguito a una sola delle nostre denunce che riguardavano gli abusi edilizi e il deposito di rifiuti tossici nell’area. A livello legale le abbiamo provate tutte: Csm, Procura generale di Cassazione, Antimafia”. Ma gli abitante di San Pietro non si sono ancora stancati di urlare la popria indignazione. Dopo una manifestazione pubblica il 31 gennaio, prevedono presto nuove iniziative per continuare a mantenere alta la loro dignità di cittadini.

Ilaria Leccardi

Cenerentola

per info: Presidio San Pietro

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