A volte è colpa di un volantino. Altre volte di una manifestazione. Spesso di una denuncia sulle falle di sicurezza, soprattutto dove queste falle devono rimanere nascoste. Il licenziamento, o almeno la sua minaccia, è uno strumento subdolo che talvolta le dirigenze aziendali utilizzano per tacere le voci di chi osa denunciare situazioni di insicurezza sul luogo di lavoro. Tanti i casi italiani negli ultimi anni. Il più noto è forse quello del macchinista Dante De Angelis, Rls di Trenitalia, licenziato nell’agosto scorso per aver segnalato la carenza di manutenzione degli Eurostar.
È anche per dimostrare il proprio sostegno a coloro che con coraggio denunciano le condizioni pericolose in cui versano le aziende, che la Rete Nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro ha manifestato sabato 18 aprile a Taranto, la città dell’Ilva, la fabbrica italiana dove maggiore è il numero di morti sul lavoro.
Tra le vie di Taranto c’era ad esempio Salvatore Palumbo, ex delegato sindacale ed operaio alla Fincantieri di Palermo. Da quasi due anni sta portando avanti una battaglia legale per il reintegro, dopo esser stato licenziato perché, sostiene l’azienda, colto a pescare nel bacino in orario di lavoro, ma già da tempo preso di mira per le sue numerose segnalazioni. Palumbo ha già affrontato quattro tentativi di ricorso ex articolo 700 per ottenere la riassunzione in fabbrica, senza successo, e ora è impegnato in una causa civile. Una prima udienza nel gennaio scorso, quindi la seconda il 5 febbraio: “In quell’occasione mi hanno proposto una transazione di 40mila euro, che sarebbe potuta anche salire, ma io ho rifiutato – spiega –. Tra l’altro pochi giorni prima alcuni lavoratori della Fincantieri mi hanno segnalato che un operaio aveva subito un incidente. Io ho parlato di quell’episodio in un volantino, che il giorno dell’udienza l’avvocato dell’azienda ha portato davanti al giudice, dicendo: ‘Signor Palumbo, è così che vuole risolvere i suoi problemi?’. Io continuo semplicemente a fare il mio lavoro. Non si immagina quanti infortuni o piccoli incidenti vengano tenuti nascosti”. L’udienza è stata rinviata al 4 giugno, quando probabilmente l’avvocato di Palumbo, Nadia Spallitta, porterà davanti al giudice nuovi testimoni. La vicenda di Palumbo e della sua famiglia (moglie e tre figli) è una di quelle storie capaci di annientare una persona, oppure di risvegliare nella coscienza l’istinto per andare avanti. “Quello che non ho mai voluto perdere – conclude l’operaio – è la mia dignità di lavoratore. Per questo continuerò la mia battaglia. Non chiedo nient’altro che tornare ad avere il mio posto di lavoro”.
Difficile, ma non impossibile. Almeno così è stato per Donato Auria, operaio alla Fiat Sata di Melfi, licenziato nell’ottobre 2007 assieme a tre colleghi, Francesco Ferrentino, Michele Passannante e Vincenzo Miranda, accusati di essere dei “sovversivi”. “Dovevo fare il secondo turno ed ero ancora a letto – spiega Auria nel blog che ha creato per condurre la battaglia per il reintegro – alle 6 del mattino qualcuno bussa alla porta, è la Digos, c’è un mandato di perquisizione”. Controllano, frugano, leggono, guardano dappertutto, ma non trovano nulla, forse anche loro capiscono con chi hanno a che fare. “Un attivista sindacale che ha fatto tante denunce, con tre figli e moglie a carico, che sta in una casa di 60 metri quadrati, dove non c’è spazio neanche per i letti singoli. Qualche figlio si deve arrangiare con il letto a castello”. Passa poco tempo e arriva la lettera di sospensione dalla Fiat. Poi la notifica della Dda di Potenza in cui risulta che Auria è indagato per associazione sovversiva a fini terroristici. Licenziato. L’operaio però non si arrende e, dopo una lunga battaglia, a gennaio di quest’anno ottiene il reintegro.
Niente da fare invece per i colleghi per cui, come ad Auria, è stata decisa l’archiviazione nell’indagine su eversione e terrorismo.
A loro si unisce anche Tonino Innocenti, licenziato dalla Fiat Sata addirittura nel 2003. Il provvedimento nei confronti di Francesco Ferrentino, Rsu della FlmUniti-Cub, viene dichiarato illegittimo, ma il 19 dicembre scatta a suo danno un nuovo licenziamento per via di un volantino che, secondo l’azienda, contiene dichiarazioni diffamatorie nei confronti di un capo. Michele Passannante, dopo aver perso il ricorso ex articolo 700, è in attesa della causa di merito. Vincenzo Miranda, invece, quel ricorso lo vince, ma l’azienda terziarizzata Fiat di cui è dipendente lo trasferisce in Toscana.
A questi si aggiungono anche i licenziamenti di operai che, come Giovanni Chiarello ed Eugenio Scognamiglio dipendenti Maserati, si battono ogni giorno per la difesa del posto di lavoro. Nel loro caso l’impegno era stato a favore del rinnovo contrattuale di 112 interinali dell’azienda modenese. E poi la storia di Giolivo Zanotti, operaio delle Fonderie Officine Pilenga, di Comun Nuovo (Bergamo), che lo scorso anno ha subito una sospensione di tre giorni per aver denunciato le condizioni di insicurezza nella fonderia dove lavorano 250 operai.
“Per fortuna – spiega Ernesto Palatrasio, dello Slai Cobas di Taranto, uno degli organizzatori della manifestazione del 18 aprile – i licenziamenti rimangono circoscritti. Quello che pesa veramente è la minaccia di lasciare la gente senza lavoro, un’arma per far sì che in fabbrica si taccia. A questa si aggiungono forme di persecuzione silenziosa, ostruzionismo sul luogo di lavoro, situazioni di cui spesso non si viene a sapere nulla. Il vero problema è la poca forza che la figura dell’Rls ha all’interno delle fabbriche. All’Ilva di Taranto, ad esempio, dove lavorano 13 mila persone, gli Rls sono appena 6”.
E allora bisogna almeno tirare un sospiro di sollievo per aver scampato a febbraio gli emendamenti proposti dalla Lega al Testo Unico varato dall’ultimo governo Prodi. Misure che se approvate avrebbero privato i lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti della possibilità di eleggere un Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza, ma anche di essere rappresentati da Rls territoriali. Dopo una prima accettazione, gli emendamenti sono stati respinti. Ancora per un po’ si può provare a sperare.
Ilaria Leccardi da Cenerentola
domenica 10 maggio 2009
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