Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE di Milano diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!
È stata in prima pagina, ne parlano tutti i telegiornali, tutta l’Italia ha visto la foto con i quattro operai INNSE sul carro ponte della loro fabbrica, tuta blu, casco giallo e muso duro. “Il simbolo della crisi”, ha scritto qualcuno. Ma quale crisi? Quella economica che tutti credono che sarà passata fra un anno o due? O piuttosto la crisi di un sistema economico che ormai è fallito. Un sistema economico e sociale basato sullo sfruttamento del lavoro salariato. Un sistema che permette la produzione soltanto fino a quando aumenta il capitale.
La INNSE ha svelato la causa dell’attuale crisi con tutte le assurdità di un sistema economico destruttivo: una fabbrica con una maestranza qualificata e specializzata va chiusa per il semplice motivo che il capitale del suo padrone aumenta di più con la demolizione delle macchine che con la produzione. La legge dello Stato borghese, garantendo la proprietà privata, permette al proprietario la rottamazione delle macchine, con la conseguenza assurda che lo Stato protegge con le forze dell’ordine la distruzione della base economica dei suoi cittadini. Lo Stato dei padroni, quindi, non garantisce soltanto, come una volta, lo sfruttamento del lavoro salariato, ma persino la demolizione dei mezzi di produzione dei salariati. Ecco perché è fallito il sistema economico basato sullo sfruttamento del lavoro salariato: una volta, quando gli operai scioperavano, l’esercito proteggeva i crumiri per imporre la continuità della produzione, mentre oggi alla INNSE, un esercito di polizia impone la fine della produzione che è stata portata avanti dagli operai senza padrone e contro la sua volontà.
Ma ce n’è di più. La INNSE ha anche svelato, per chi l’avesse dimenticato, che lo Stato non protegge i suoi cittadini, ma soprattutto la proprietà privata, cioè il capitale. Questo non è niente di nuovo, la novità consiste nel fatto che la classe padronale, pur avendo perso ogni interesse alla produzione industriale, usa le Istituzioni statali per la spartizione tra di loro della ricchezza prodotta in passato. Se non fosse così, come si spiega il fatto che un patrimonio industriale come la INNSE è stato svenduto per un prezzo simbolico di 700'000 Euro ad un rottamaio speculatore come Genta? Un rottamaio che ora rivendica il suo diritto da proprietario per realizzare il lucro, smantellando e vendendo i macchinari pezzo per pezzo. Dapprima, lo Stato ha organizzato la svendita della INNSE, adesso garantisce con le forze dell’ordine il suo smantellamento, garantendo la proprietà privata e impedendo la continuazione di una produzione. Piuttosto che permettere a 50 famiglie di guadagnarsi il pane tramite questa produzione, lo Stato dei padroni li costringe a vivere delle elemonsini chiamati “ammortizzatori sociali”.
Quando una classe dominante non permette più a un numero crescente della società a nutrirsi da solo, è giunto il momento di rovesciarla. I quattro operai della INNSE sul carro ponte non sono tanto “il simbolo della crisi”, ma piuttosto il simbolo del suo superamento. Poiché, questi operai dimostrano che si può lottare, che la crisi non è un destino da sopportare come un fenomeno naturale, ma invece il risultato di un sistema economico che va superato. La INNSE è l’esempio come va affrontata la crisi: invece di subire passivamente ulteriori tagli di salario, aumenti dei ritmi e degli orari di lavoro, licenziamenti e chiusure di fabbriche, gli operai devono diventare i protagonisti del proprio destino. Gli operai della INNSE hanno portato la prova che è possibile ribellarsi anche essendo in pochi. 50 operai che sfidano la prepotenza padronale e statale trasformatasi in impotenza, quando i quattro, eludendo un assedio permanente di 500 sbirri, hanno conquistato il carro ponte della loro fabbrica.
Guardando la foto dei quattro operai INNSE, tanti altri operai che si chiederanno: Perché loro si ribellano e noi no? Perché lasciarsi portare al macello come dei buoi senza almeno aver tentato di lottare? Perché non facciamo anche noi come gli operai della INNSE? Da quando c’è l’assedio militare alla INNSE, si sono verificati almeno altri tre esempi di ribellione operaia: invece di andare in ferie, gli operai della Ercole Marelli a Sesto San Giovanni hanno occupato la fabbrica, un altro presidio di fabbrica c’è alla Manuli di Ascoli Piceno nelle Marche. «Siamo l´INNSE della Toscana» dicono gli operai della Bulleri Brevetti di Cascina che hanno bloccato la fabbrica con un presidio permanente davanti ai cancelli. Comunque finisca la lotta alla INNSE, o con la ripresa produttiva o con la chiusura definitva imposta dalla repressione statale, una cosa è certa: è valsa la pena di resistere tanti mesi, e di passare tanti giorni e tante notti in cima di una gru, perché questa lotta ha il potenziale per diventare il principio di una lotta operaia che si estende sempre di più, diventando finalmente una lotta di classe contro classe per rovesciare questo sistema corrotto e marcio fino alle ossa. Giù le mani dalle Officine! Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!
mercoledì 12 agosto 2009
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