Domenica 2 maggio 2010. Palestra del Laboratorio Sociale. Esibizione del corso di Taekwondo. Dagli spalti vediamo il cuore pulsante della Polisportiva Antirazzista Uppercut. È un cuore meticcio, solidale, degno come le atlete e gli atleti che si stanno esibendo davanti a uno dei pubblici più eterogenei e nutriti che ricordiamo. Un cuore che ci rappresenta così tanto da lasciarci quasi a bocca aperta. Più di un anno fa, quando le attività dell’Uppercut si sono spostate al Laboratorio Sociale, avevamo semplicemente la speranza di costruire quello che invece oggi si materializza ai nostri occhi.
Questo è l’ultimo evento sportivo “casalingo” della stagione. Gli atleti sono più di venti, tra bambini e adulti. Disposti su più file stanno mostrando le forme, le tecniche principali e le acrobazie di un’arte affascinante che, come spiega il Maestro Naceur Atia, è una vera e propria filosofia centrata sull’etica della pace (simboleggiata dal colore bianco del dobok, la divisa) e della giustizia, in un insieme di forza spirituale, di autocontrollo, di rispetto per sé e per gli altri. Come molte delle arti orientali, anche il Taekwondo è un modo di vivere più che una disciplina sportiva pura e semplice. Un modo di vivere che, con le dovute proporzioni, non si discosta poi così tanto dal nostro. Lo sport in quanto tale è ciò che ci permette di costruire una modalità nuova di vivere tra tanti e diversi, nella valorizzazione delle differenze e nel reciproco rispetto. Trascende la semplice cura del corpo e alimenta lo spirito nella ricostruzione del senso più umano e fraterno dell’esistenza, così distante dalle logiche utilitaristiche della società di oggi. È la ricerca di nuove pratiche di condivisione, orientate alla pacifica convivenza dei popoli e tese al raggiungimento di un’eguaglianza universale tra tutti gli esseri umani. È uno strumento di socializzazione che, supportato da una filosofia comune e condivisa, non esclude nessuno e dà ad ognuno la possibilità di misurarsi con sé e con il mondo in maniera costruttiva.
E quindi eccolo il cuore dell’Uppercut: bambini e adulti, atleti e famiglie di ogni provenienza e con alle spalle le storie più diverse che si esibiscono, simulano combattimenti o semplicemente osservano e filmano lo spettacolo da qui, dagli spalti su cui sediamo anche noi che alla polisportiva abbiamo dato formalmente vita. Negli sguardi di ciascuno si esplicita in tutta la sua potenza il senso di appartenenza ad una comunità allargata, che è sì quella sportiva ma è anche quella delle piccole emozioni quotidiane che ci legano e ci fanno crescere giorno dopo giorno. Jospeh, Elion, Lucrezia, Ivo, Lorenzo, Luca, Mohamed, Soufiane, Angelica sono solo alcuni dei nomi dei piccoli e grandi atleti che ci incantano, ci fanno sorridere e ci ripagano di ogni sforzo fatto fino ad ora. Sono arrivati in palestra alle 14 per le prove generali e intorno alle 18, quando l’esibizione sta volgendo al termine, sono stremati ma hanno ancora voglia di raccontare e raccontarsi attraverso lo sport.
Il 22 maggio 2010 alcuni di loro gareggeranno a Losanna per la competizione internazionale degli “Open 2010” e ci rappresenteranno di fronte a circa 600 atleti di ogni parte del Mondo, tra le nostre gioia e incredulità per essere arrivati così tanto lontano con le nostre sole risorse.
Più di un anno fa, quando speravamo in qualche cosa di grande, non avevamo che la presunzione di immaginare tutto questo. Oggi sappiamo che osare la speranza non è, sempre, una follia. Nel nostro caso corrisponde ad un’unione sapiente tra forza interiore, autocontrollo, rispetto e voglia un po’ ribelle di rivendicare diritti per tutti, capace di generare spazi fisici e mentali liberi e solidali, al di là di qualsiasi barriera o confine.
Polisportiva Antirazzista Uppercut, da globalproject
venerdì 7 maggio 2010
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