Dopo l’audizione dei primi due testimoni chiave, Nicola Pondrano e Carlo Pesce, figure simbolo della lotta all’amianto di Casale Monferrato, il maxi processo Eternit è entrato nel vivo. Maggio è stato un mese denso di racconti e testimonianze, che hanno posto i primi tasselli di un complesso mosaico che vede alla sbarra i due massimi dirigenti della multinazionale dell’amianto, lo svizzero Stephan Schmidheiny, e il belga Jean Louis de Cartier de Marchienne. Quattro udienze, quelle celebrate nell’ultimo mese, che hanno avuto protagonisti differenti, a partire dall’attuale e dall’ex-presidente della Regione Piemonte, rispettivamente Roberto Cota e Mercedes
Bresso, passando per le mogli di lavoratori morti di mesotelioma.
Udienze che hanno messo in luce la sofferenza degli operai di Casale Monferrato, Cavagnolo e Rubiera, costretti a lavorare in mezzo alle polveri di amianto. E poi la sofferenza degli abitanti di Casale che hanno presto iniziato a morire anche se nulla avevano a che fare con la fabbrica Eternit: semplicemente vivevano lì o lavoravano nei dintorni. Il 10 maggio Giovanna Patrucco, figlia di una coppia di panettieri che avevano il negozio a 200 metri dallo stabilimento ha raccontato: la mamma è morta di mesotelioma, dopo che per anni i lavoratori dell’industria di amianto si sono recati nel suo negozio per comprare da mangiare con le tute ancora sporche di quella polvere bianca.
La geologa Laura Turconi il 4 maggio ha spiegato le sofferenze del grande fiume, il Po, utilizzato per anni come vera e propria discarica; ha descritto i cambiamenti morfologici del fiume, a causa delle tonnellate (20 a settimana) di detriti di amianto riversati sulle sue rive. Quanto avvenuto è stato ribadito, un paio di settimane più tardi con la presenza in aula di Enrico Bagna, titolare della ditta che, dal 1972, si è occupata dello “smaltimento” dei rifiuti di amianto, ossia l’abbandono a cielo aperto lungo gli argini del fiume degli scarti di produzione. Una testimonianza controversa e delicata, per un uomo che già in passato aveva dovuto affrontare la contestazione di reati ambientali, e che si è difeso così: "All’epoca le norma lo permettevano, non c’erano restrizioni". Almeno fino al 1983, quando
furono modificate le regole e Bagna attivò una discarica in un luogo differente, chiusa però poco dopo.
E infine la sofferenza di una città, Casale Monferrato, sulla quale sono stati chiamati a testimoniare l’attuale primo cittadino, Giorgio Demezzi, e i suoi predecessori, Paolo Mascarino (dal 1999 al 2009) e Riccardo Coppo (dal 1984 al 1988 e dal 1995 al 1999). Quest’ultimo, sindaco quando l’Eternit ancora funzionava, ha ricordato la preoccupazione per le condizioni di lavoro degli operai: nel 1985 scrisse una lettera indirizzata direttamente a Schmidheiny, ma non ricevette mai risposta. Nel lungo e difficile lavoro di bonifica gli ex dirigenti mai sono intervenuti: in totale è costato oltre 10 milioni di euro.
A partire dall’ultima udienza, quella di lunedì scorso, l’attenzione ha iniziato a spostarsi sulla dimensione internazionale della vicenda Eternit, grazie alla testimonianza fornita da Francois Iselin, membro dello svizzero Caova (Comitato aiuto e orientamento per le vittime dell’amianto). Architetto, ex professore al Politecnico di Losanna, Iselin, che da decenni si occupa di amianto, ha spiegato come la consapevolezza che questa sostanza fosse cancerogena si avesse già almeno dal 1962. In Svizzera ne venne vietato l’uso nel 1990, eppure la Eternit ebbe una proroga per altri quattro anni fino al 1994, per le fabbriche di Payerne e Niederurnen. Iselin, però, si è spinto anche più in là, raccontando come fosse usanza della multinazionale riversare gli scarti di produzione in fiumi, boschi, creando talvolta vere e proprie montagne di rifiuti: avvenne nel terzo mondo, in Nicaragua.
E poi si è parlato di Svizzera e Germania, grazie all’intervento di Silvano Benitti, ingegnere, che dal 1975 al 1979 ha lavorato per la Eternit, prima un anno a Casale, per seguire un periodo di formazione, quindi all’estero e nel sud Italia, alla Cemater di Ferrandina, azienda partecipata Eternit. Benitti ha sottolineato come, alla fine degli anni Settanta, il pericolo per la multinazionale era proprio la possibilità che iniziasse a diffondersi la consapevolezza del pericolo. Dicevano: "La diffamazione sull’amianto rischia di mettere a rischio la nostra attività". Non le persone, non l’ambiente. Ma l’attività e il profitto. E anche qui, un ricordo, una certezza, l’inesorabile frase, ripetuta dai vertici aziendali fin dal 1975: "Sappiamo che l’amianto è potenzialmente pericoloso, ma per evitare problemi basta adottare le adeguate misure di controllo". Il processo riprenderà lunedì 7 giugno.
di Ilaria Leccardi da Terra Comune del 28 maggio 2010
venerdì 28 maggio 2010
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