La nostra Angela è tornata! Allo sbarco di Malpensa ha dovuto subire l'assalto dei numerosissimi giornalisti. Stanchezza, rabbia, dolore, angoscia non hanno bloccato la grande giornalista, bensì l'hanno rafforzata.
Il momento più terribile è stato l'assalto: "Erano decine e decine di mostri che, dai canotti, salivano a frotte sulla nave. Sparavano, urlavano, si sono lanciati contro tutti noi. Abbiamo cercato di proteggere il capitano, ma i loro taser ci hanno bloccato. Avevano i volti coperti, le teste protette dai caschi e con questi colpivano le fronti di chi si avvicinava loro. A bordo abbiamo avuto molti feriti. I cameraman sono stati aggrediti durante le riprese. In quel momento hanno sequestrato tutte le telecamere e le macchine fotografiche. Vedevano sulla Marmara un immenso fumo, sentivamo le urla e quegli spari terrificanti, incessanti, mentre gli elicotteri squarciavano i cieli" Angela ha voglia di parlare, si concede a tutti. Ciò che prova è il bisogno di denunciare, lei è semplicemente giornalista dentro.
Non ha padroni, né veline passate sotto banco. Prosegue: "dopo questo inferno ci hanno lasciato sotto il sole per 8 ore, tutti prigionieri sul ponte, per portarci ad Ashdod. Uno per uno ci hanno fatto sbarcare trattandoci come terroristi, come i peggiori delinquenti. Accompagnati in una tenda hanno ordinato di spogliarci, poi ci hanno rubato tutto: carte di credito, denaro, cellulari, il mio tesserino di giornalista, la patente. Subito dopo avremmo dovuto firmare una dichiarazione con la quale ci assumevamo la colpa d'aver infranto le loro leggi. A quel punto, tutti noi abbiamo loro urlato con quanto fiato avevamo che loro erano i delinquenti, che loro ci avevano attaccato in acque internazionali, che loro erano bugiardi. La risposta è stata che ci avrebbero imprigionato. Che lo facessero dunque!".
Non prende fiato Angela, a ogni domanda risponde con precisione, non un attimo di esitazione: "Ci hanno trasportato nel carcere israeliano di Beer Sheva, in pieno deserto Negev, luogo ben noto ai prigionieri politici. Alle nostre richieste di telefonare a casa o all'ambasciata, ci hanno risposto che le loro linee erano fuori uso. C'era un solo telefono, ma dovevamo pagare (!) Crudeltà efferata. E' stato questo il dolore più profondo: le nostre famiglie non sapevano se eravamo vivi morti... Per il resto solo rabbia, tanta. Non sono mai stata picchiata, ma i miei connazionali maschi si. Non ero sola in cella, come qualcuno ha scritto, io, cristiana, ero insieme a due donne splendide, una musulmana e un'ebrea americana, unite da un solo obiettivo: il campo di concentramento di Gaza deve finire. Dalle donne, passeggere sulla Marmara, ho potuto capire la disumana mattanza avvenuta sulla nave turca. Hanno visto uomini con buchi in fronte e trivellati di colpi, hanno riferito -e vi prego di indagare su questo- uomini ammanettati gettati in mare. La violenza israeliana non ha risparmiato donne, anziani e bambini. Non c'erano armi a bordo! Conosco chi ha caricato quella nave (l'uomo era accanto a lei ndr). C'erano circa 100 case prefabbricate, depuratori d'acqua, mattoni, utensili da carpenteria, tende per gli sfollati." Ad Angela preme sottolineare: "di quei mostri incappucciati, ho poi avuto modo di vedere i loro volti. Erano tutti poco più che ventenni, è sconvolgente. Mi sono rivolta a loro chiedendo perché questa disumanità, perché questo calpestare i più naturali diritti umani? Sembrano tutti ipnotizzati, hanno subito un pesante lavaggio del cervello, solo così si può spiegare. Perché non si ribellano, come invece tantissimi loro coetanei ebrei, persone straordinarie che sfidano il carcere per protestare fermamente contro quel governo?"
A chi le chiede come ha reagito sentendo che l'Italia ha votato contro l'inchiesta internazionale, Angela stringe i denti. E' un gesto sconsiderato, è umiliazione di fronte al mondo intero che si sta attivando, questa volta seriamente, contro gli atti criminali perpetrati da Israele, in spregio a tutte le convenzioni, le risoluzioni, i patti, la carta dei diritti umani planetari. Il mondo ora non è più disposto a soprassedere su questa vergogna. "Sono sconfortata -prosegue- per non dire peggio". Ringrazia inoltre la cortesia della Turchia che si è prodigata straordinariamente per mettere a loro disposizione tre aerei dotati di tutti i confort. Sorride pensando che è stata la prima volta che viaggiava in prima classe, servita e riverita come una regina. A Tel Aviv hanno dovuto attendere 12 ore a bordo, per subire l'ultima vessazione israeliana che imbarcava i prigionieri uno a uno con tempi lunghissimi. Per dieci anni il poliziotto le ha detto che non potrà più mettere piede in Israele. Gli ha riso in faccia. Presto tornerà in Palestina, ma passando da qualunque altra parte. Quella terra, ora, le può ricordare solo il male.
Ci saluta sorridente, sventolando la sua sportina del supermercato: l'unica borsetta che per ora possiede. Invita caldamente a non considerarla eroe che non le calza proprio. Ha solo fatto il suo mestiere e oggi, più che mai, è convinta d'averlo fatto nell'unico modo possibile. Concordiamo.
di Nadia Redoglia da Nuovasocietà
venerdì 4 giugno 2010
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