giovedì 11 febbraio 2010

A Casale si muore ancora
ma i boss fanno ostruzione

"Noi stiamo ancora morendo mentre l’amianto si sta diffondendo". Recitava così lo striscione portato in tribunale da un gruppo di giovani casalesi, giunti a Torino per la terza udienza del maxi processo “Eternit”. Parole che richiamano l’attenzione su una strage ancora in atto che mette paura alla gente di Casale Monferrato, la città più colpita dai veleni della multinazionale dell’amianto. E mentre i ragazzi, assieme a una cinquantina di persone, si sono posizionati in aula 2 per assistere allo svolgersi delle operazioni processuali attraverso due maxischermi, in aula 1 il processo andava avanti. Udienza tecnica, ancora una volta, dove protagonisti sono stati i difensori de gli imputati, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis De Cartier de Marchienne, e quelli delle società a loro collegate, intervenuti per contestare le costituzioni di parte civile.

"Ci troviamo di fronte a 6.000 persone e 50 enti che chiedono il risarcimento. Troppi", ha spiegato Astolfo Di Amato, uno degli avvocati di Schmidheiny, che ha sollevato una questione di legittimità costituzionale delle norme del codice di procedura penale che permettono la costituzione di parte civile ma che, secondo la difesa, ostacolerebbero la velocità e la semplicità del processo. Nulla di più falso, secondo i legali di parte civile: "Non sempre la ragionevolezza della durata del processo corrisponde alla massima speditezza – ha ribattuto l’avvocato Davide Petrini – la durata è ragionevole nel momento in cui bilancia la speditezza e le esigenze delle parti". Una questione già emersa e respinta in udienza preliminare, ma che se dovesse essere accolta potrebbe comportare un’importante modifica della procedura penale.

Più nel merito del processo, ma non di minor peso, la questione sollevata dal difensore del barone De Cartier, Cesare Zaccone, sull’ammissione o meno come parte civile di Inps e Inail, sostenendo l’impossibilità di quest’ultima di esercitare in questa sede il “diritto di regresso”, ossia chiedere agli imputati di risarcire ciò che l’Inail ha dovuto sborsare (una cifra superiore a € 246 milioni per 1.648 persone). Tesi respinta dal pm Raffaele Guariniello che ha richiamato in aula l’articolo 61 del decreto legislativo 81 del 2008, più conosciuto come Testo Unico sulla Sicurezza, secondo cui in un caso come quello della “Eternit” il pm deve dare notizia all’Inail "ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso". Quello dell’Inail, spiega Guariniello, è un diritto che già esisteva prima di questo decreto, ma che attraverso esso viene agevolato: uno strumento in più di prevenzione e per far sapere alle aziende che, in caso di mancata osservanza delle norme, il rischio è anche quello di dover risarcire l’Inail.

Tante e articolate le altre richieste di non ammissione a parte civile: se i difensori di De Cartier chiedono di escludere i lavoratori assunti in “Eternit” dopo l’addio del barone belga all’azienda, quelli di Schmidheiny hanno chiesto invece di escludere chi ha smesso di lavorare negli stabilimenti della multinazionale dell’amianto prima che lo svizzero ne diventasse proprietario, nel 1972. E poi i sindacati e le loro emanazioni locali, sedici, troppi secondo l’accusa, e tante associazioni. Tra queste anche “Medicina Democratica”, movimento nato alla fine degli anni Sessanta e da sempre attivo in tema di malattie professionali. "Oltre che nel processo “Eternit” ci siamo costituiti parte civile in altri procedimenti legati all’amianto – spiegano i rappresentanti, presenza costante alle udienze torinesi – come quello contro la “Montefibre”, celebrato a Verbania, e quello contro la Marina Militare, in corso a Padova. In Piemonte parteciperemo anche al processo contro la “Solvay Solexis” per il cromo esavalente ritrovato a Spinetta Marengo, alle porte di Alessandria". La richiesta di esclusione nei confronti dell’associazione si basa sul fatto che “Medicina Democratica” non era ancora attiva nel momento in cui il reato contestato veniva commesso, almeno da parte di De Cartier, ma, rispondono i rappresentanti, dipende da come viene inteso il reato: l’azione degli imputati (l’omissione del controllo sulle norme) non si è conclusa in un tempo passato definito, ma rappresenterebbe al contrario un reato permanente. O almeno, questa è la tesi sostenuta anche dai pm. E forse era proprio ciò che volevano esprimere quei ragazzi di Casale con le parole scritte sullo striscione che hanno portato fino a Torino. Perché la gente a Casale Monferrato continua a morire.

E mentre il presidente della Corte, il giudice Giuseppe Casalbore, rimanda la prossima udienza a lunedì 15 febbraio, con le risposte dei difensori di parte civile, arriva la notizia di un nuovo importante appuntamento: il 16 marzo a Torino si terrà una conferenza sulle vittime mondiali dell’amianto, con la partecipazione di testimoni provenienti da tantissimi Paesi, dal Nicaragua, al Giappone, passando per il Brasile.

Ilaria Leccardi
da Terra Comune

2 commenti:

Burp ha detto...

Ciao Ilaria,

ho avuto il tuo contatto da Niccolò.
Stiamo lavorando ad un progetto itinerante legato all'amianto e ci piacerebbe entrare in contatto con te.

Ti lascio la mia mail : diegush@hotmail.com

Se mi mandi un messaggio con la tua mail,ti spiego in modo più ampio il progetto.


Un saluto.

Diego

Anonimo ha detto...
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