"La politica dell’Eternit era di negare, quasi ridicolizzare, coloro che prendevano posizione sulla pericolosità dell’amianto. L’azienda escludeva la possibilità di rischi. Anche contro questo abbiamo dovuto batterci, per recuperare una coscienza collettiva". Lunedì 26 aprile, al maxiprocesso contro i dirigenti della multinazionale dell’amianto, è stato il giorno di Bruno Pesce, il secondo teste chiamato dal pm. Segretario della Camera del Lavoro di Casale Monferrato dal 1979 e referente dell’Associazione Famigliari delle Vittime, Pesce ha ripercorso gli ultimi anni di vita dello stabilimento casalese, chiuso nel 1986, e la lotta mai cessata contro l’amianto. E ha raccontato come, proprio negli anni in cui operai e cittadini iniziavano a comprendere la correlazione tra polveri di amianto e morti, la multinazionale lavorava per smentire ogni preoccupazione.
"Ricordo appelli della Eternit, anche sui giornali, che invitavano i cittadini a visitare la fabbrica. L’azienda negava i pericoli, lo ha fatto in Italia, ma anche all’estero, in Francia, in Svizzera, per non parlare del Brasile. Addirittura il dottor Costa, un dirigente dell’area commerciale, in un convegno del 1979 affermò che l’amianto blu non era cancerogeno. Ma non era vero e da noi quell’amianto si usava, soprattutto per la lavorazione dei tubi". Poi un giorno l’Inail smise di pagare il premio supplementare per chi lavorava in Eternit, prendendo per buoni i dati dell’azienda secondo cui il pericolo in fabbrica non esisteva più. Una decisione contro cui sindacato e lavoratori si batterono, intraprendendo nel 1981 una vertenza collettiva e portando l’Inail in tribunale, con una causa vinta nell’89.
Le attività del sindacato stavano diventando pericolose per i vertici aziendali, tanto che alle calcagna di Pesce e compagni fu messa addirittura una spia. "Si chiamava Cristina Bruno, una giornalista freelance che aveva scritto articoli sui giornali locali, come Il Piccolo e La Vita Casalese. Veniva ai nostri incontri, era insistente e petulante. Voleva partecipare alle riunioni private e noi non ci preoccupavamo". Solo dopo si scoprì che era pagata da una società di Milano incaricata di informare i vertici Eternit sulle mosse del sindacato. Un interesse costante della multinazionale che però non si traduceva nella volontà di fare qualcosa per rimediare al disastro ambientale sul territorio, come dimostra lo stato di abbandono in cui furono lasciati gli stabilimenti dopo il 1986, anno di chiusura della Eternit in Italia. "La bonifica è stata fatta a partire dal 2000, ma solo con fondi pubblici, senza alcun contributo dell’impresa".
L’azienda, che ancora oggi sostiene di lavorare l’amianto in modo sicuro, ad esempio in Canada, durante gli anni di attività in Italia nemmeno si preoccupava del problema. Lo ha detto anche Ezio Buffa, l’ultimo testimone chiamato ieri a parlare in tribunale. Assunto nel 1954 e pensionato dal 1978, perché malato di asbestosi (oggi al 76%), Buffa ha raccontato la sua realtà, quella dei lavoratori: le macchine che perdevano polveri, i pavimenti puliti a colpi scopa, gli scarti industriali rotti nel piazzale con un caterpillar cingolato e il polverino regalato alle famiglie da usare in casa come isolante o pavimentazione. E poi la conferma: dall’azienda nessuna protezione, nessun avvertimento e nemmeno la possibilità di parlare del problema amianto durante le ore di lavoro.
A margine del processo una notizia di cronaca sportiva. E’ morto Sergio Castelletti, terzino sinistro della Nazionale e della Fiorentina negli anni sessanta. Era nato a Casale il 30 dicembre del 1937, e sul campo dove le buche venivano colmate con il polverino si era allenato fin da ragazzino. Il mesotelioma ha ucciso anche lui.
di Ilaria Leccardi, da Terra Comune del 30 aprile 2010
sabato 1 maggio 2010
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2 commenti:
Ciao, ti avviso solo che ho suggerito il tuo blog in questo mio post:
http://ivabellini.blogspot.com/2010/11/la-spia-casalese-dell-eternit.html
grazie mille!
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