"Finestre non ce n'erano. Solo una porta di ingresso e una di uscita. Niente ricambio d'aria. E ogni volta che scaricavamo l'amianto veniva su un polverone irrespirabile. All'inizio ci davano una mascherina, che però non serviva a molto. Allora ci coprivamo la bocca e il naso con un fazzoletto, per ripararci dall'amianto".
Lunedì 14 giugno, quindicesima udienza del maxiprocesso Eternit. A parlare sono prima il curatore fallimentare della Eternit, Carlo Castelli, e poi due operai dello stabilimento di Bagnoli (Napoli), il più grande come estensione delle quattro fabbriche Eternit sul territorio italiano, preceduti da Elena Fizzotti, consulente del pm, che ha illustrato lo sviluppo negli anni dell'impianto campano.
I ricordi più duri sono stati quelli emersi dai racconti di Luigi Falco e Bruno Carlevalis, ex operai di Bagnoli, entrambi oggi affetti di asbestosi. Tutti e due hanno lavorato per anni alla sfilacciatrice, la macchina attraverso cui l'amianto blu veniva scompattato e, quindi, mandato alle tramogge per il peso. La fabbrica era grande e, come ricorda Falco, "se avevi qualche discussione con il caposquadra ti mandavano 15 giorni all'amianto, il reparto peggiore. Una specie di punizione". Alla sfilacciatrice Falco ha lavorato 3 o 4 anni, mentre Carlevalis ci ha passato una vita (dal 1969 al 1980), anche quando ha scoperto di essere malato. "All'inizio mi avevano detto che era bronchite, poi ho scoperto che era asbestosi".
In fabbrica si sapeva che di amianto si moriva. "Le voci erano che un operaio era morto 'con l'affanno', o per la bronchite", ha spiegato ancora Falco, "poi c'erano casi di malattie più gravi, mesotelioma, tumore alla vescica. Fino da quando sono entrato in fabbrica, negli anni '60, c'era chi diceva che le malattie erano collegate all'amianto, e chi no. Di certo la Eternit non ci ha mai dato informazioni su questo e i nostri sindacati... così così. L'idea era che comunque qualcuno doveva pur farlo quel tipo di rischio...". E, infondo, lui era stato assunto così. Il padre, operaio Eternit, si era ammalato. E quando il giovane Luigi lo accompagnò a prendere la liquidazione il capo del personale gli disse: "Mi dispiace, ma non fate 'confusione', appena c'è occasione ti assumiamo e ti diamo un posto di lavoro". Un modo dire, "non fate denuncia".
E così come a Casale Monferrato, anche a Bagnoli a respirare l'amianto non sono stati solo gli operai, ma anche le mogli che pulivano le tute di lavoro e gli abitanti della zona limitrofa. C'erano addirittura una serie di casette attaccate alla fabbrica dove vivevano alcuni dipendenti, ad esempio elettricisti che in caso di necessità sarebbero potuti intervenire rapidamente. Due piani con un po' di giardino davanti e dietro, dove i bambini giocavano senza alcuna precauzione. E dove la polvere arrivava. Dello stabilimento di Bagnoli si parlerà ancora nella prossima udienza, in cui sono stati a chiamati a testimoniare l'ex governatore della Regione Campania, Antonio Bassolino, e il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino. Ci saranno, inoltre, Vasco Errani, presidente della Regione Emilia Romagna, e il sindaco di Rubiera (Reggio Emilia).
E mentre il processo Eternit va avanti, novità arrivano dal fronte Montefibre, lo stabilimento chimico di Verbania dove si sono verificate diverse morti a causa dell'amianto. Se il 10 giugno la Cassazione aveva rinviato parte del fascicolo del processo "Montefibre uno" alla Corte di Apello di Torino (che in secondo grado aveva condannato gli imputati a pene tra gli 11 e i 20 mesi di reclusione), a Verbania si è aperto ieri il processo "Montefibre bis". Un procedimento per la morte di 17 ex dipendenti e la malattia professionale di altri 9, in cui sono imputati diversi ex dirigenti ed ex amministratori dell'azienda. L'udienza è stata caratterizzata da questioni preliminari, tra cui la richiesta di costituzione parte civile dei legali della Regione e dell'Aiea (Associazione italiana esposti amianto), esclusi in precedenza dal gup, e si aggiornerà il 16 luglio.
di Ilaria Leccardi
mercoledì 16 giugno 2010
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